di Federico Gualdi
𝑰𝒍 𝒔𝒆𝒏𝒕𝒊𝒆𝒓𝒐 𝒅𝒆𝒍 𝒄𝒂𝒑𝒊𝒓𝒆
“𝐿𝑎 𝑠𝑡𝑎𝑚𝑝𝑎 𝑛𝑜𝑛 𝑣𝑢𝑜𝑙𝑒 𝑖𝑛𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑙𝑒𝑡𝑡𝑜𝑟𝑒, 𝑚𝑎 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑖𝑛𝑐𝑒𝑟𝑙𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑙𝑜 𝑠𝑡𝑎 𝑖𝑛𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑛𝑑𝑜” 𝑁𝑖𝑐𝑜𝑙𝑎𝑠 𝐺𝑜𝑚𝑒𝑧 𝐷𝑎𝑣𝑖𝑙𝑎
Viviamo nel tempo dell’iperinformazione. Se la generazione precedente alla nostra, quella degli anni 60-70 viveva con un giornale letto al bar e un telegiornale alla sera avendo sufficienti informazioni per potersi sentire parte del mondo, oggi con cellulari computer, le TV nei ristoranti e le radio nei centri commerciali non possiamo sfuggire ad una continua, incessante immersione nelle informazioni. Cronaca, politica, finanza, sport, guerre, gossip, previsioni, pandemie…
Eppure in tutto questo l’uomo si sente sempre meno parte del mondo.
La forza del 4° potere è stata chiara da subito, appena si è capito che prima la radio, poi la televisione sarebbero stati degli strumenti perfetti nel veicolare informazioni molto più della carta.
I maggiori filosofi hanno subito posto l’importanza di questi strumenti. Ricordiamo Popper, la scuola di Francoforte e Chomsky in particolare, tant’è che da forma di potere si è detto che l’informazione è diventato il vero campo di battaglia del potere.
Il problema è che pur sapendo quanto siamo immersi in tale mare di sovrainformazione, non abbiamo ben chiari gli effetti che questo ha su di noi.
Su tutti noi, nessuno escluso.
Qualcuno pochi anni fa ha detto, toccando un punto centrale dell’informazione odierna: “Se non usi gli organi d’informazione non sei informato, ma se li usi sei disinformato. Quale è l’effetto a lungo termine di un mondo con troppe informazioni? Uno degli effetti è la necessità (per gli organi di informazione) di arrivare per primi, non più di dire la verità”.
𝐅𝐚𝐜𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐢 𝐚𝐜𝐜𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐚𝐥𝐥’𝐢𝐧𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞
Avere un accesso illimitato all’informazione e in tempo reale è indubbiamente un vantaggio per le persone seriamente motivate ma impossibilitate per questioni economiche o di tempo a informarsi e studiare con i vecchi percorsi.
Tuttavia dobbiamo capire che questa facilità porta con sé anche degli aspetti negativi.
Un problema di questa configurazione del sapere è che molte persone non hanno più stimolo a capire e studiare in profondità i vari argomenti. Avendo tutto il sapere a disposizione 24/7, migliaia di libri disponibili sul proprio hard disk, non vi è infatti né la sensazione del vero valore del sapere né tantomeno la sensazione di piacere nella scoperta durante lo studio, come invece era in passato quando bisognava recarsi in un luogo (biblioteca, università, conferenze, etc…) sacrificando tempo e energia, o costruendosi negli anni una personale biblioteca cartacea da consultare continuamente.
La volontà, o per meglio dire il piacere della persona faceva tutta la differenza come principio motivante. La disponibilità in qualsiasi momento di tutto lo scibile umano tende a portare l’uomo a non avere nessun senso di “erotismo conoscitivo”, appiattimento nella scoperta, nessun focus particolare, a perdersi indistintamente in questo mare magnum tradendo la necessità e il gusto di immergersi nello studio di pochi ma amati argomenti.
Si arriva così all’apatia, ad un certo distacco emotivo dallo studio approfondito e articolato.
Ecco perché oggi la maggior parte delle persone non legge nulla oltre i 3 minuti mediamente. E’ questa apatia. Troppe informazioni uccidono l’amore per lo studio a cominciare dalla lettura.
I miei scritti, ad esempio, sono spesso volutamente anacronistici e articolati, proprio perché ritengo importante stimolare in me stesso e nelle persone un pensiero verticale, contrariamente a questo pensiero piatto iperveloce e fagocitante, che predilige la quantità sulla qualità.
Un secondo aspetto è la facilità di produrre informazione incontrollata:
Oggi tutti sono fruitori e creatori di informazione. Non vi è più una gerarchia preminente nel flusso dell’informazione come 20 anni fa. Tramite i social, la gente sceglie su cosa informarsi e da chi informarsi. Vi è oggi un problema di veridicità e filtro delle informazioni, poiché non solo non è più possibile un controllo e scrematura delle informazioni, ma la gente non è in grado (o non vuole) capire cosa è informazione e cosa è disinformazione. Questo significa che l’informazione oggi non sempre porta alla conoscenza. Spesso porta alla disinformazione, molte volte mirata della massa. Questa è la famosa guerra dell’informazione e dell’opinione, che ha spinto, i controllori dei canali di informazione alla decisione di filtrare e bloccare la cosiddetta disinformazione mentre dall’altra parte si è sentita la necessità di creare nuovi canali più destrutturati e fluidi per esprimersi fuori dalla censura di sistema. In tutto questo molte persone con poca capacità critica si sono sentite rimbalzare più volte o costrette a fare una scelta che in situazioni normali non avrebbero fatto.
Un terzo aspetto.
Alcuni si improvvisano esperti nelle più disparate tematiche senza in realtà avere un percorso in prima persona strutturato nel tempo e da diverse posizioni. Vi sono aspetti che con le sole informazioni nozionistiche non si possono cogliere. Così troviamo diversi sedicenti esperti, spesso perchè predisposti a digerire quantità di dati in modo veloce, con una buona dialettica e avendo semplicemente letto molto sull’argomento. Una cosa del genere, fino a solo 20 anni fa era quasi inimmaginabile non solo semplicemente perché le informazioni non erano cosi facilmente reperibili, ma anche perché le persone a cui dare ascolto erano sempre persone del settore e di alto livello. Oggi tramite internet si può parlare e ascoltare praticamente di tutto avendo spesso anche un vasto seguito per quanto sulla qualità e veridicità di ciò che viene detto non ci sono riferimenti di alcun tipo.
Siamo passati da una società dove un’informazione cristallizzata su un libro o un giornale veniva reputata vera giocoforza, ad una società dove l’informazione è fluida e cangiante, contraddittoria e volatile; questo ha reso molte persone, soprattutto giovani cresciute in questa realtà, inconsciamente scettiche e agnostiche.
Il problema non è tanto in questi problemi sopra esposti (e diversi altri), quanto il fatto che le persone che partono da una situazione di ignoranza non hanno gli strumenti critici e intellettuali per poter capire chi ha padronanza e capacità nella creazione di informazione e quindi conoscenza utile per l’uomo. Questa sfida è completamente nuova all’uomo, che fino ad ora si è dimostrato non preparato per affrontarla in modo consapevole.
𝐒𝐨𝐯𝐫𝐚𝐢𝐧𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞
Un tema importante di cui spesso non siamo consapevoli pur avendone ben chiara la struttura. Oggi siamo soggetti ad un sistema che ha lo scopo di darci più informazioni possibili, informazioni veloci, che immergono il fruitore, da tutte le angolazioni. Sono troppe, frammentate, non aiutano l’elaborazione interna ne la possibilità di farne un confronto pesato e profondo. Ogni giorno ve ne sono sempre nuove, spesso fornite in modo non neutro. Quello che manca è spesso la completezza, il confronto e la critica in modo costruttivo delle diverse posizioni. Si tende a privilegiare la quantità e velocità sulla qualità ed elaborazione.
Cosa succede nella nostra mente in questo panorama?
La mente va in sovraccarico inconscio, si abitua a non processare dovutamente l’informazione come dovrebbe, la riceve, immagazzina per passare alla successiva in modo spesso meccanico.
Ma non si tratta solo di indigestione di informazioni. Avendo un eccesso di informazioni, la mente diviene meno capace di vedere i collegamenti e di arrivare quindi ad una visione strutturata attraverso un’elaborazione che ci accompagna nel disvelamento del mondo nel suo complesso. Tendiamo a vedere i diversi flussi storici-politici-artistici in modo passivo, mentre sappiamo bene, che ad una lettura profonda tutto è interconnesso e le dinamiche di un evento su un piano potrebbero essere dovute a variabili presenti su altri piani, ma non abbiamo il tempo per farlo, bisognerebbe fermarsi e smettere di accumulare dati.
Possibile?
Questa capacità di comprensione dell’interconnessione strutturale del mondo, che veniva insegnata a partire dai licei, è sempre più debole con un sistema di sovrainformazione in quanto l’eccesso di quantità sulla qualità non permette questa digestione, rielaborazione e critica corretta.
Oggi la didattica mira a dare un’istruzione più di stampo anglosassone, volta alla specializzazione tecnica. Eppure fino a qualche decennio fa nelle nostre scuole ed atenei ve ne era una più “latina” che mirava a formare una visione d’insieme e comprensiva delle varie sfere che compongono un sapere. Nella didattica anglosassone focalizzata e tecnica l’uomo vede l’informazione come un oggetto da porre in modo coerente dentro la propria struttura cognitiva già formatasi. Contrariamente una struttura più aperta permette la continua elaborazione e rielaborazione portando anche a modifiche della propria architettura cognitiva, in quanto la persona avendo un orizzonte più vasto di studio ha meno rigidità di assimilazione.
Questo fenomeno della sovrainformazione è presente non solo nella comunicazione dei mass media. Sappiamo per ogni alimento quanti kcal e grassi vi sono. Quanti km mancano al prossimo atterraggio e in che precisa posizione si trova l’aereo. Sappiamo le statistiche dei giocatori nei minimi dettagli. Abbiamo la composizione esatta degli strati del materasso e quanti kW consuma il forno.
Ma perché tutti questi dati continuamente? Sappiamo tutti benissimo che dei dati a nostra disposizione forse il 5% ci sono veramente necessari...e l’altro 95%?
Prima o poi saremo costretti a chiederci, al di là della curiosità e senso di controllo che ci dà avere tutti questi dati, se tutto questo ci è veramente utile o se invece non ci stia facendo perdere la visione di ciò che conta maggiormente nella vita e quindi gli elementi più importanti ed essenziali per apprezzare lo scorrere della nostra vita in modo più lento e quindi profondo.
La sensazione di flusso di tempo è affetta dalla quantità di dati che elaboriamo. Tanti più dati il nostro cervello elabora tanto più avremo una sensazione di tempo compresso, veloce, tanti meno dati avremo tanto più il tempo ci sembrerà scorrere lentamente.
La sovrainformazione porta a questa sensazione di tempo che scorre troppo velocemente. Sensazione mai provata?
𝐌𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨𝐫𝐞 𝐢𝐧𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 = 𝐠𝐢𝐮𝐬𝐭𝐞 𝐜𝐨𝐧𝐜𝐥𝐮𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢?
Rimane infine l’aspetto a mio avviso più importante da considerare e che abbiamo già sfiorato poco sopra: avere più informazioni ci porta sicuramente ad una scelta più corretta?
Provenendo da una mentalità illuminista e razionale la risposta a questa domanda è ovviamente si. Eppure questo tema è più interessante e meno scontato di quanto possa apparire a prima vista.
In ogni questione articolata, le variabili in gioco sono diverse e spesso complesse. La sensazione avendo più dati è quella di avere una visione, padronanza migliore e quindi giungere ad una decisione più corretta.
Ma vi sono 2 aspetti da considerare sempre:
1) avere tante informazioni non significa avere sempre e sicuramente le informazioni giuste, essenziali e più funzionali alla decisione che vogliamo prendere. Può capitare che un esperto schierato ci dia tantissime informazioni, ma che ometta tutto ciò che è invece contrario alla sua visione. Oppure possiamo avere molte informazioni su alcuni aspetti ma ne trascuriamo altri forse più importanti. In realtà non potremo mai avere sicuramente un set di informazioni completo, anche nelle migliori delle ipotesi, la nostra conoscenza sarà sempre parziale e limitata sia per il problema delle fonti sia per le prospettive delle stesse e infine per la nostra capacità analitica.
2) In qualsiasi decisione, è risaputo che spesso il fattore emotivo-inconscio gioca un ruolo importante se non addirittura preminente, e questo anche nelle questioni che dovrebbero essere lasciate alla sola sfera razionale. Questo deriva dal fatto che nella nostra vita ciò che guida le nostre scelte, più che le informazioni e i ragionamenti, sono i nostri valori interiori. Cioè l’importanza che noi diamo ai vari aspetti della vita. Tendiamo quindi naturalmente a dare più importanza alle informazioni in armonia coi nostri valori in quanto questo ci permette di vivere in un mondo più coerente col nostro sentire e più in armonia con la nostra visione del mondo. E’ umano ed è forse anche un bene fino a quando questo non diventa troppo rigido e inflessibile.
Ecco che da queste 2 prospettive la ricerca di molti dati tende a perdere di valore.
Più che “fare indigestione” di dati portandoci spesso ad indecisione, sovraccarico e confusione, forse è meglio ascoltarci innanzitutto interiormente, cercare di capire quali sono per noi i punti essenziali dell’argomento rispetto ai nostri valori cardine e chiedersi in che modo la scelta andrà ad impattare il proprio vissuto reale.
Dobbiamo tenere presente che nella vita non esistono mai risposte sicuramente corrette o sicuramente scorrette, ma esistono risposte migliori da una certa prospettiva e peggiori da un’altra.
Ecco che da quest’ottica l’informazione assume un aspetto meno centrale ma entra in gioco al servizio della persona senza renderla un semplice elaboratore sintetico.
L’uomo sceglie sulla base dei suoi valori, non dei dati.
𝐋’𝐢𝐧𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐞 𝐢𝐥 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨𝐥𝐥𝐨
L’uomo moderno, con una spiccata propensione alla scienza e alla tecnologia, ha la sensazione che controllare i dati e l’informazione significhi avere una leva importante del potere. Questo deriva dalle scuole di matrice illuminista-positivista che sono tutt’ora predominanti soprattutto in occidente. L’uomo moderno, passato il periodo della volontà di potenza produttiva materiale, trova la propria volontà di potenza nella produzione e controllo dei dati.
Chi ha i dati, chi li controlla e chi li produce è colui che detiene il potere più alto.
Eppure i dati, veri o falsi che siano, non sono altro che un aspetto della realtà, spesso esteriore e parziale entro una realtà molto più complessa, non solo di quanto ci appare empiricamente, ma anche e soprattutto di quanto noi stessi possiamo valutare col nostro intelletto logico deduttivo. Da questo punto di vista, porre come centrali le informazioni si può rilevare un percorso limitante e ingannevole, questa via non permette alla persona di armonizzarsi con la questione, non sentire dentro di se in modo profondo e cardiaco-intuitivo la cosa.
Ogni questione che ci porta ad una scelta, ogni informazione che ci mostra un frammento di realtà, della nostra realtà per dirla in termini fenomenologici, porta con sé un’aliquota di incoscienza-intuito-sentimento che non deve essere né negata né minimizzata. Nascondere questa sfera è perdere un lato del nostro vissuto e delle nostre percezioni, tendendo ad andare nella direzione del puro meccanicismo. E’ importante che l’uomo rimetta questa sfera, non meno reale o importante, dentro l’area della propria elaborazione del vissuto, insieme alla giusta scelta di dati razionali.
Non tanto perché non facendolo arriva a delle percezioni e conclusioni sbagliate, quanto perché nel percorso cognitivo questa sfera ha da sempre una valenza tanto quella razionale e privarsene significa perdersi la parte più misterica, intuitiva e immaginifica della vita e con essa le bellezze e i misteri che ci pone sulla via.
Dobbiamo avere il coraggio di ridimensionare il potere dei dati e delle informazioni su di noi.
Dobbiamo avere la volontà di far tacere il continuo bisbiglio dell’informazione che ci assale. Dobbiamo avere la consapevolezza di tornare a prendere le nostre decisioni non solo inglobando ed elaborando informazioni ma innanzitutto ascoltando il nostro Maestro Interiore. Dobbiamo avere la comprensione che non è completo basare la nostra vita solo sul vissuto oggettivo ma allargarla anche a ciò che sentiamo in modo più sottile e inesprimibile.
Gli antichi, avevano meno dati e meno elaborazione, eppure avevano conoscenze di certi aspetti della vita e del mondo forse più profonde di noi e più in armonia con loro stessi e la natura. Nel passato vivevamo spesso senza sapere cosa accadeva a qualche chilometro da noi eppure le informazioni essenziali, poche ma necessarie erano ben chiare e vivevamo con maggior serenità e in contatto con la natura, sentendoci parte di essa.
Oggi senza essere iperinformati, con notizie spesso incontrollate, quanti di noi non si sentirebbero persi e fuori dal mondo?
Dobbiamo quanto prima avere il coraggio di emanciparci da questa dipendenza dall’informazione, dal dato, dai cellulare e computer partendo dalle informazioni inutili al nostro vissuto e non essenziali per ciò che facciamo.
Dobbiamo avere il coraggio di spegnere l’eccessivo flusso che elaboriamo e tornare ad ascoltare altri flussi più silenti, armonici, naturali, interiori, intimi, salutari che ci ricollegano a fonti più profonde e armoniche.
Tornare a costruire la nostra vita e le nostre scelte anche su altri lati della realtà che albergano in noi da sempre ma che per tanto, troppo tempo, abbiamo trascurato come umanità.
E’ un punto critico e una sfida importante per l’uomo di oggi e non ne siamo pienamente consapevoli.
Questa distorsione ci ha portato in una strada fredda, calcolatrice, che porta l’uomo ad essere oppresso dalla sua stessa tecnica e dal mero aspetto materiale della vita. Questo “scivolare nel tutto razionale-tecnologico” deve essere risolto quanto prima affinché l’uomo riporti il potere della scelta nelle proprie mani come un tempo e non in un elaboratore o in un server dati, magari dall’altra parte del mondo.
E così facendo l’uomo si troverà al centro del proprio universo e della sua natura, tornando ad essere non più un dato statistico dentro un elaboratore ma un Uno singolo e unico collegato ad un tutto in piena continuità.
Il grande Oriente d’Italia tiene ieri ed oggi la sua convention annuale, nel corso della quale sarà proclamato il nuovo Gran Maestro. Con l’occasione, al di là delle contrapposizioni non proprio tradizionali che ci sono state in questa tornata elettorale, vediamo più approfonditamente cosa è e cosa rappresenta la massoneria.
Molti si chiedono cosa è la massoneria. Le origini della massoneria affondano nella notte dei tempi e si rifanno alle organizzazioni dei costruttori degli edifici sacri (cattedrali medioevali comprese) e agli antichi ambiti misterici dediti a culti riservati ai solo adepti.
La Massoneria è un ordine iniziatico, nato ufficialmente a Londra il 24 giugno 1717, giorno della festa di San Giovanni, allorché quattro logge di Londra, che si riuniscono in differenti locali, danno vita alla prima gran loggia, la "Gran Loggia di Londra e Westminster".
Da quel momento inizia una diffusione, che in soli due decenni, ne vede l’insediamento in tutta Europa, che prosegue via via in tutte le colonie europee, in America prima e successivamente in Australia, Africa ed Asia.
Attualmente La massoneria è presente in tutto il mondo, soprattutto nei paesi aventi un ordinamento democratico, con una appartenenza stimata in diversi milioni di persone, dei quali oltre un milione sono presenti negli Stati Uniti e circa quattrocentomila in Gran Bretagna ed in Irlanda. In Italia l’ambito di maggior rilievo, peraltro il più antico, risulta essere il Grande Oriente d’Italia, che conta 23.000 appartenenti, esclusivamente uomini, cui segue numericamente la Gran Loggia d’Italia, la quale ammette anche le donne, alla quale aderiscono quasi 10.000 membri; a questi si aggiungono, inoltre, altri numerosi gruppi minoritari, tra i quali la GLRI (nata da uno scisma promosso da appartenenti al Grande Oriente d’Italia, attualmente riconosciuta dalla Gran Loggia d’Inghilterra), che complessivamente contano un numero di aderenti che può essere stimato intorno alle 10.000 persone.
Le origini della massoneria sono costantemente oggetto di studio, dibattito e congetture. Una poesia nota come "Regius Manuscript", datata intorno al 1390, è considerata il più antico testo massonico conosciuto. Ci sono prove che mostrano l’esistenza di logge massoniche in Scozia già alla fine del sedicesimo secolo (una loggia operante a Kilwinning), come pure si rilevano precisi riferimenti all'esistenza di logge in Inghilterra, a partire dalla metà del XVII secolo.
La loggia è l'unità organizzativa di base della massoneria, l’insieme al quale appartengono le logge aderenti è chiamato gran loggia, talvolta grande oriente, il quale può essere considerato l’autorità centrale, che coordina le attività svolte dalle logge stesse, la quale ha una natura eminentemente e prevalentemente rituale, svolta con cadenza prefissata, in un determinato luogo, che viene chiamato oriente.
Le riunioni massoniche seguono pertanto un rituale codificato, sostanzialmente uguale ovunque nel mondo, nonostante non esista un rituale massonico universalmente adottato da ciascun paese, in quanto ogni giurisdizione (gran loggia) è libera di “personalizzare” i propri rituali.
Il rituale massonico è incentrato sul simbolismo riferito all’attività degli antichi costruttori degli edifici sacri (architetti, capi mastri, muratori, ecc.) come pure agli strumenti dagli stessi utilizzati. Tra gli strumenti presenti, i cui significati, seppur apparentemente semplici, sono molto articolati e profondi, troviamo, tra gli altri, due tra quelli i più conosciuti: la squadra e il compasso.
Nello rituale stesso sono richiamate le azioni comportamentali, che ogni aderente deve seguire, soprattutto riferite all’ottenimento della propria conoscenza interiore e alla ricerca della virtù, sia essa spirituale sia etico morale, utile anche ad accrescere la capacità di circoscrivere i propri desideri, soprattutto gli egoismi, e di controllare le proprie passioni.
Il percorso massonico segue un iter graduale indirizzato verso la ricerca della conoscenza e della comprensione di se stessi e del corretto modo con cui porsi in relazione con gli altri esseri viventi, con la natura e con l'Essere Supremo (il Grande Architetto dell’Universo).
Le riunioni, che sono in realtà lo svolgimento di una vera e propria celebrazione rituale, prevedono appunto una cerimonia precisamente codificata, nell’ambito della quale può essere trattato un argomento di natura spirituale, filosofico o culturale, atto ad offrire un supporto alla comprensione dei simboli e alla interiorizzazione della ritualità stessa. In tali ambito è vietata in modo assoluto ogni discussione riferita alla politica e alla religione.
Prerequisito per essere ammessi a far parte della massoneria è la credenza in un essere supremo, cosa questa che impedisce la possibilità di accoglimento di coloro che si professano atei. Nel contesto rituale, l'Essere Supremo è indicato come il Grande Architetto dell'Universo, cosa che evidentemente allude all'uso del simbolismo architettonico all'interno della Massoneria.
In ogni tempio sono contenuti elementi simbolici tra i più svariati, come pure oggetti precisamente indicati, quali ad esempio il libro sacro, che in un contesto avente una tradizione cristiana può essere la bibbia, in quello islamico il corano, e così via, sino ad arrivare anche a posizionare e sovrapporre contemporaneamente più libri sacri, qualora si operi in un ambito avente più tradizioni religiose. In Italia il libro sacro generalmente utilizzato è la Bibbia, che viene aperta rituaImente, alla pagina riguardante il prologo contenuto nel vangelo di Giovanni (in principio era il verbo ecc.).
I gradi attribuiti agli iniziati alla massoneria, cosiddetta azzurra, sono tre:
apprendista;
compagno d’arte;
maestro.
Oltre detti gradi, coloro che vengono ammessi ai cosiddetti corpi rituali comunque collegati all’ordine massonico - rito scozzese, rito simbolico, rito di York, rito di memphis e misraim, rito rettificato e rito noachita, che offrono ulteriori supporti rituali e simbolici, basati su specifiche allegorie tradizionali - accedono ai gradi, praticati nei corpi rituali stessi, aventi per ragioni tradizionali una particolare nomenclatura e/o una classificazione numerica, tra cui ad esempio anche quella, forse più nota, riguardante il rito scozzese, nel quale si praticano i gradi che vanno dal IV al XXXIII.
I gradi, siano essi correlati all’ordine massonico o ai corpi rituali, contengono strumenti, sempre riguardanti le varie fasi dello sviluppo personale, attraverso le quali possono essere comprese tutte le allegorie, sia rituali che simboliche, nelle loro svariate varianti, attraverso una interpretazione soprattutto personale, eventualmente confrontata con quella dagli altri confratelli, mediante cui possono essere colti il portato rituale e il significato dei simboli, unitamente agli archetipi universali, indicati dai simboli stessi.
Per essere ammesso nella massoneria, certamente per quanto riguarda le maggiori obbedienze, il Grande Oriente d’Italia e la GLDI, ogni richiedente deve fornire preliminarmente, una specifica attestazione rilasciata dall’autorità dello Stato avente competenza in materia giudiziaria, tenere una condotta morale e civile adeguata e attenersi alle leggi dello Stato, fattispecie che qualora non vengano rispettate comportano, nei confronti di colui che viola tali precetti, l’allontanamento temporaneo o definitivo, a secondo della gravità dei fatti riscontrati.
La massoneria è quindi una vero e proprio ordine iniziatico, che affonda le sue radici nella Tradizione - che soprattutto nel passato è stata a lungo mantenuta nascosta e trasmessa attraverso l’insegnamento diretto - per consentire ai suoi adepti di ricercare, seppur parzialmente, senza professare dogmi e integralismi, la propria elevazione e trasformazione interiore, cui opportunamente accompagnare un adeguato comportamento etico e morale.
La Massoneria viene spesso definita una "società segreta", in realtà essa è un organismo ben noto - soprattutto per quanto riguarda gli ordini aventi il maggior rilievo - nel quale è presente invero un insegnamento di natura esoterica, rivolto ai soli iniziati. Un insegnamento riservato ai propri membri, il quale oltre che ad escludere ogni forma di intolleranza, riguarda i vari aspetti riferiti alla Tradizione, generalmente intesa, e gli elementi riferiti alla propria specifica metodologia, siano essi rituali che simbolici.
Ciò nonostante, molti parlano della massoneria in termini non proprio positivi; ne parla in siffatto modo in particolare la cronaca, allorché accosta alla stessa fatti in realtà semplicemente delittuosi, eventualmente ascrivibili a singoli; ne parla la politica, quando taluni politici attribuiscono sempre alla stessa responsabilità che sino ad oggi sono risultate in sostanza fantasiose e infondate.
Ma allora perché questa avversione. Certamente in quanto esistono retaggi che affondano le radici in quella che è ormai storia: il risorgimento, al quale hanno concorso soprattutto individualmente molti massoni, cui sono correlate le ferite riguardanti la fine del potere temporale pontificio, forse ancora non del tutto cicatrizzate, ascritte anche alla massoneria; l’avversione dei regimi totalitari, operata dal fascismo prima, che ha subito perseguitato durante il suo regime la massoneria e i suoi esponenti di rilievo, e dal comunismo poi, che ha mostrato una costante ostilità nei confronti di tale istituzione, considerata espressione elitaria e borghese e per di più non amica dei paesi appartenenti al contesto filo sovietico.
Ma al di là delle cennate considerazioni, viene da pensare anche che una delle cause della “cattiva stampa”, derivi dalla fatto che la massoneria sia ritenuta non “inquadrabile”; in quanto nell’ambito della stessa, tanto come “soggetto collettivo” quanto come singoli aderenti, uno dei principali ideali professati è quello riferito alla libertà di pensiero, dal quale discende ovviamente anche la libertà politica e religiosa, cosa evidentemente non “ancillare” a eventuali logiche volte alla conservazione del potere, soprattutto allorché il sistema politico tende a divenire un soggetto che occupa, con fini di parte, le istituzioni pubbliche e/o e quando il cittadino appare talvolta “funzionalmente” assoggettato a una sorta di feudalesimo partitocratico.
Forse anche perché ne parlano, con cognizione di causa, soprattutto coloro che hanno studiato in modo serio e approfondito, scevro da quelle che oggi chiamiamo leggende metropolitane, le tematiche massoniche, venendone in contatto e cercando di comprenderne e percepirne realmente le origini, la storia, gli scopi e gli obiettivi, i quali evidentemente non vengono ascoltati, né adeguatamente rappresentati, in particolare da una rilevante parte dei media.
di Augusto Vasselli
Sovente si fa, giustamente, riferimento a Dante Alighieri, la cui opera è ancora viva ed attuale, in particolar modo la Commedia, mirabile sintesi poetica, teologica, filosofica e politica, che trasmette messaggi universali, i quali affondano le loro radici nella filosofia perennis, ovvero in quella che oggi chiamiamo Tradizione.
Il sommo poeta nasce a Firenze nel 1265 in un giorno non conosciuto (forse sotto il segno dei gemelli, il che sta a dire tra il 21 maggio e il 21 giugno), da una famiglia della buona borghesia, come potremmo dire oggi, legata ai guelfi bianchi. Perde giovanissimo la madre dopodiché suo padre arriva presto a nuove nozze. Brunetto Latini, che Dante stesso ricorda sempre con un sentito e toccante affetto, forse anche per questa perdita, diviene la guida del Sommo poeta soprattutto riguardo i suoi studi. La sua vita è presto condizionata dalla attiva e forte presenza delle fazioni politiche che dividono, anche a quel tempo, la società civile e il sistema politico, nel quale viene presto coinvolto. Ciò nonostante, quale guelfo bianco, sa tessere buoni rapporti con i Ghibellini e i Guelfi Neri, che gli consentono, nel 1300, di divenire uno dei 6 magistrati anziani, espressione dei guelfi bianchi. La sua brillante ascesa politica è però interrotta da una accusa riguardante una pretesa appropriazione indebita, che lo costringe all'esilio e a subire una condanna in contumacia. Da quel momento inizia la sua vita errante, che vede la sua fine terrena a Ravenna il 14 settembre 1321, ove, negli ultimi anni della sua vita viene accolto sotto la protezione di Guido Novello da Polenta.
Questo in estrema sintesi un breve flash biografico.
Ma la grandezza di Dante, non deriva certamente dal suo cursus honorum e da particolari meriti civili, sociali e politici. La sua grandezza discende dalle sue opere ed in particolare dalla sua somma opera “La Commedia”, che presto viene definita ed aggettivata universalmente “divina”. Un’opera che attraversa i secoli, che ancora parla a coloro che leggono, consentendo a ciascuno di cogliere seppur in parte i molteplici messaggi.
La Commedia, accanto a una erudizione in cui si concentrano tutta la scienza e il pensiero del Medioevo, e nella quale si intravede naturalmente il carattere appassionato dell’Autore, comprensivo anche del suo pronunciato ego, è la narrazione di un erudito, che non manca di descrivere le correnti spirituali del Medioevo che sa cogliere, altresì, la profondità delle cose, della vita umana, dell'universo e della “Saggezza divina”, da grande ricercatore quale era.
In questa opera, che potremmo quasi definire “multilevel”, viene anche descritto quello che può essere considerato il viaggio simbolico interiore dell’Alighieri. Un viaggio che è, sia una narrazione del cammino sia un sottile filo di Arianna, rivolto a chi vuole capire, attraverso i quali viene trasmessa la filosofia perennis, la quale come sempre indica le modalità che ciascuno dovrà poi acquisire e personalizzare, per perfezionare se stesso e ricercare in tal modo la propria realizzazione.
Si tratta pertanto di un’opera che rappresenta un insieme di conoscenze, non limitate al comune sentire, le quali indicano l’esistenza dell’intuizione, presente in noi ma sovente non attivata, riguardante la consapevolezza dell’anima umana, dalla quale si parte per accedere ad un’unione indefinibile tra l’Ente essente e il Tutto (inteso come manifestazione). In altri termini l’opera ricomprende indicazioni, peraltro di una straordinaria bellezza espressiva e semantica, volte a poter ricercare un cambio di co-scienza (consapevolezza) per il tramite della reintegrazione totale delle potenzialità insite nell’essere umano, attraverso quella che può essere definita una maturazione, ovvero un'alchimia che può far cambiare la visione prospettica di ciò che ci circonda e del nostro sentire. In altri termini un messaggio, nel suo insieme, così variegato ed articolato, che può essere considerato una sorta di catalizzatore, il quale a sua volta può essere di ausilio all’ottenimento di una vera e propria trasmutazione del nostro essere interiore, anche grazie a questo viaggio simbolico, che Dante ci descrive.
Un viaggio che inizia mediante le cantiche “infernali”, che passa poi attraverso la purificazione del Purgatorio (nomen omen), e che giunge infine alla catartica “Liberazione”, propria dell’eroe che sa arrivare al centro del labirinto, che lo porta verso il suo sé superiore. Naturalmente allorché si sia seguita e attivata l’esortazione di Dante, presente nell’opera stessa, mediante la quale suggerisce al lettore, sia nell’Inferno (IX, vv. 61-63) con i celeberrimi versi “O voi ch’avete li ’ntelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde sotto ’l velame de li versi strani” e sia nel Purgatorio (VIII, vv. 19-21) allorché ribadisce: “Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero, ché ’l velo ora è ben tanto sottile, certo che ’l trapassar dentro è leggero”.
La Divina Commedia può essere pertanto considerata un'opera alchemica, un percorso iniziatico, fatto sotto la guida di uno psicopompo, il maestro Virgilio, nell’occasione appunto guida di Dante, il quale simboleggia la vera ragione umana (descritta mediante una lirica intesa in senso antico, mitico e religioso), ovvero l'iniziazione tradizionale, che porta a comprendere la lingua dei cieli, ovvero degli dei, partendo dalla ragione, ma che per dischiudere le porte del Paradiso, necessita di quella che comunemente viene chiamata fede, che in altri termini è il sentire non condizionato, ovvero l’intuizione.
Non a caso Beatrice (emblema della beatitudine e della fede) viene rappresentata come una sorta di intermediario tra Virgilio (discesa agli inferi e purgatorio, rispettivamente opera al nero e opera al bianco) e la Vergine Maria (la quintessenza) che schiude le porte del Paradiso, simbolo dell’autentica Religione (opera al rosso), ovvero dell’Empireo, la cui etimologia ci ricorda appunto il fuoco (in greco pyr, πῦρ), raggiunto grazie anche all’ausilio di San Bernardo, il quale che rappresenta la fede e la gnosi e autore tra l’altro della regola dei Templari.
Beatrice ed a un livello superiore la Vergine rappresentano l'elemento femmineo della natura, la chiesa segreta di cui parlavano i catari, grazie alla quale è possibile uscire dalla selva oscura. Cosa che Dante sa poi fare in quanto frequentatore e conoscitore di movimenti diversi; egli fu a suo modo un rivoluzionario anarchico, un soggetto vicino all'Ordine del Tempio, un tomista seguace di San Tommaso, un simpatizzante dei sufi e uno studioso della tradizione cabalistica, nonché un appartenente ai Fedeli d'Amore, i quali sono certamente da considerarsi tra gli antesignani dei Rosacroce.
Allo stesso tempo, Dante è anche cattolico e cataro per quanto questo possa essere paradossale e formalmente antitetico, ma tanto da farlo arrivare a capire che entrambe le dottrine possono dire la stessa cosa, seppur mediante modalità apparentemente opposte o addirittura inconciliabili, che guarda caso sono basate sull'armonia degli opposti. Dante è pertanto consapevole del “nulla sostanziale” della razionalità, che rispetto all’assoluto equivale a una meccanicistica e superficiale rappresentazione della realtà.
Realtà che Dante porta alla luce e sintetizza mediante i principi e con il portato della filosofia perennis, che nella Sua opera, seppur velati, sono palesi. Basti pensare al simbolismo dei tre mondi, espresso per il tramite della partizione in tre cantiche; la discesa agli inferi, ovvero nella intimità del nostro essere, che porta poi all’ascensione finale, grazie a “l’amor che move ‘l sole e l’altre stelle”.
Versi meravigliosi con il quale conclude il suo viaggio descritto attraverso quattro linguaggi (livelli). Quattro, proprio come i tradizionali quattro elementi (terra, acqua, aria e fuoco), ove il primo è riferito all’aspetto letterale, il secondo a quello metaforico-allegorico, il terzo al senso anagogico (che unifica i due livelli precedenti) e infine il quarto, che schiude le porte dell’esperienza “mistica”, alla quale non si accede con il comune pensiero e con la parola comunemente intesa, ma con il “verbo” e attraverso il contatto del nostro profondo con il Tutto.
di Augusto Vasselli
Nel calendario astronomico ci sono, tra gli altri, quattro momenti che rivestono una particolare importanza, i quali sono, peraltro, contestuali al cambio delle stagioni: essi sono gli equinozi e i solstizi. I primi segnano il tempo che contraddistingue l'inizio della primavera e dell'autunno; i secondi segnano rispettivamente l’inizio dell’estate e dell’inverno. Il tutto ovviamente riferito al nostro emisfero (quello settentrionale).
Con il termine equinozio si indica il periodo dell’anno nel quale la durata del giorno è pari alla durata della notte. Tale periodo si manifesta ogni anno in due diverse congiunture: la prima si verifica tra il 19 e il 21 marzo, la seconda tra il 21 e il 24 settembre. Dal punto di vista etimologico, la parola equinozio deriva dal latino aequinoctium, a sua volta derivata dai termini aequus (uguale), e nox (notte).
L'equinozio di primavera si celebra da millenni (così come i solstizi e l'equinozio d'autunno). La ricorrenza - che quest’anno si è verificata il 20 marzo alle 04 e 06, per la precisione - è stata nel remoto passato sempre considerata l'inizio del ciclo annuale, cosa che avviene ancora oggi ad esempio con il Nowrūz (da persiano nuovo giorno - inizialmente una festa sacra zoroastriana), che si celebra ancora oggi in Iran ed in altri paesi.
Già nelle antiche culture in questo giorno si celebravano particolari riti e liturgie per sancirne la sacralità. Nel passato gli eventi astronomici avevano una particolare importanza, anche da un punto di vista spirituale e religioso, poiché si riteneva che durante questi precisi momenti dell’anno si potesse aprire una porta per l’aldilà, una sorta di varco spazio-temporale attraverso cui si poteva entrare in contatto con gli spiriti degli antenati.
La congiuntura equinoziale, anche perché correlata, soprattutto in tempi lontani con l’inizio dell’anno, è stata peraltro un costante riferimento per l’orientamento dei templi. In uno dei più celebri e importanti siti, riferiti all’archeologia del passato, nel quale sono ricomprese la grande piramide e la sfinge, si rileva tale posizionamento, come pure in molti altri luoghi, nei quali troviamo costruzioni, soprattutto sacre, analogamente orientate.
Questa data, certamente importante, rappresenta l’equilibrio tra il giorno e la notte, dal punto di vista astronomico, e, da un punto di vista non solo fisico, il momento che indica la possibilità di ricercare anche un equilibrio riferito al nostro essere animico e spirituale. Quindi una fase nella quale sono sottointese le possibilità offerte da un nuovo ciclo, attraverso il quale individuare e raggiungere cambiamenti e nuovi equilibri, che possono consentire di abbandonare lentamente ciò che non è più necessario e ridondante, se non addirittura nocivo.
Tutte le antiche culture hanno costruito il calendario solare in modo intuitivo, osservando i cambiamenti nella natura, che sono poi stati associati alle festività e alle celebrazioni. Il che conferma come gli antichi popoli abbiano, in realtà, una innata saggezza, quasi istintuale, che li porta essere consapevoli della natura e di quanto la stessa trasmette agli esseri viventi. Fattispecie, che paradossalmente con l’evolversi della civiltà, viene sempre meno, sino ad arrivare ai nostri giorni, in cui molti tra coloro che pur ricordando questi momenti del tutto particolari non ne sentono, né tanto meno ne comprendono, il significato.
Unitamente ai solstizi, gli equinozi hanno un'importanza sia fisica che simbolica rilevante, in quanto essi rappresentano e rammentano la via del risveglio. L’equinozio di primavera rappresenta la ripresa del lavoro svolto su noi stessi, che consente di aumentare la consapevolezza (aumento della luce) a discapito della la mancata conoscenza di noi stessi (oscurità).
Il suo significato più profondo è riferito ai misteri riguardanti la rinascita spirituale. Nel cristianesimo è il tempo della passione, della crocefissione e della resurrezione e nell’antico Egitto della resurrezione di Osiride. In tutte le culture l’equinozio rappresenta il confronto tra le forze della luce e dell’oscurità, tra morte e resurrezione, trasformazione e rinascita, ecc..
L'equinozio di primavera è associato all'oriente perché annuncia la rinascita della vita alla fine dell'inverno, analogamente al sole, che sorge ad oriente e che annuncia il giorno nascente. Simbolicamente all’est in quanto è là che sorge la luce, che viene cercata da coloro che si impegnano in un processo spirituale, al fine di ricevere l’illuminazione.
L'Equinozio di primavera è una celebrazione dell'equilibrio perché collocato tra il freddo inverno e la calda estate. È il momento magico tra le due stagioni, in cui la natura si sveglia lentamente dal letargo invernale. È la stagione del rinnovamento e del nuovo fuoco, che dà l’avvio a un nuovo ciclo di fertilità e abbondanza.
Una delle più antiche celebrazioni, dell’equinozio di primavera conosciute, è stata la festa egizia di Sham El Nessim (da shamo o shemu, nell’antico linguaggio egizio la stagione del raccolto, considerata anche simbolo del rinnovamento della natura), la festa dell’agricoltura, officiata per la prima volta attorno al 2.700 a. c., durante la III dinastia.
Anche in Mesopotamia nello stesso periodo dell’anno veniva celebrata una festa in onore del dio Marduk, il cui simbolo era l’ariete, in quanto dal punto di vista astrologico, durante l’equinozio di primavera il sole entra nell’ariete, secondo la processione degli equinozi.
Nella Persia di Zoroastro veniva celebrato la festa di Naw Ruz (nuovo giorno), visto come giorno di rinnovamento e speranza le cui celebrazioni duravano una decina di giorni, che come cennato è ancor oggi una importante ricorrenza riferita alla ciclicità annuale (Nowrūz).
Nella Grecia classica i riti misterici venivano celebrati in due precisi momenti dell’anno. Durante l’Equinozio di Primavera (tra il 19 e il 21 marzo), in cui venivano officiati i Piccoli Misteri, a loro volta aventi una funzione preparatoria ai Grandi Misteri, celebrati durante l’Equinozio d’Autunno (dal 16 al 25 settembre). In tali ricorrenze i greci celebravano il ritorno (dalla durata di sei mesi) di Persefone, figlia di Zeus e Demetra, sulla superficie della terra. Mito questo che rappresenta la vegetazione che muore nel corso dell’inverno e che rinasce di nuovo con la primavera.
Nei Paesi del Nord Europa veniva celebrata la dea Eostre, da cui deriva il termine riferito alla pasqua in tedesco, Oster, e in inglese, Easter. Di essa si conosce poco, probabilmente è l’equivalente della dea Ishtar-Inanna, la divinità mesopotamica dell’amore, adorata dai Sumeri prima e dagli Assiro-Babilonesi poi.
Oster, ovvero Ostara, è la divinità germanica della fertilità, alla quale vengono offerte uova (dipinte) al fine di assicurarsi il ritorno della primavera. Stagione alla quale è anche associato il culto della dea romana Aurora, equivalente della dea greca Eos e della divinità indù Ushas (tutte riferibili alla dea Hausos, mutuata dalla civiltà indo-europea).
In questo giorno venivano accesi dei fuochi rituali sulle colline e, secondo la tradizione, più a lungo rimanevano accesi, più fruttifera sarebbe stata la terra. In questo girno venivano, solitamente irrigati i campi e, poiché era anche allora il momento in cui si si aveva la perfetta corrispondenza tra ore solari e ore notturne, si celebravano gli specifici riti.
Sempre a tale stagione è riferito Freya, presente nella mitologia nordica, dea dell'alba e fecondità, associata al simbolismo della lepre e dell’uovo. Uovo al quale è attribuita una correlazione con la creazione del mondo, che ha originato la consuetudine di dipingere le uova offerte nei vari momenti celebrativi, le quali possono essere certamente considerate anche il simbolo dell'uovo cosmico.
Simbolismo riferito all'uovo, che troviamo in molte religioni, seppur in forme talvolta differenziate, come sempre molto significante e diretto. Esso ricorda la genesi del mondo, la realtà primordiale che contiene al suo interno, dalla quale originano gli esseri viventi. Nell’antico Egitto al termine uovo viene attribuito il genere femminile, in quanto considerato l’uovo primordiale dal quale la natura (considerata per questa divina e assimilata alla divinità) germoglierà e organizzerà la manifestazione, attraverso la sua infinita trasformazione (egli è sia figlio che padre).
L'uovo è considerato, altresì, una rappresentazione del potere della luce e del rinnovamento periodico della natura, soprattutto intesa come rinascita, ritorno e risurrezione, cosa che viene anche ricordata nella festa della pasqua cristiana, con la morte e risurrezione di Gesù.
Ancora oggi, manteniamo l’uso di tali simboli, ricordo di simboli più antichi, per festeggiare l'equinozio di primavera: mangiamo conigli di cioccolato (ricordo della lepre, come già riferito animale sacro a Eostra, simbolo di fertilità), e le uova.
Con l’avvento del cristianesimo tali ancestrali ritualità pagane in realtà non scompaiono, sono state invero sostituite dalle festività introdotte attraverso la pasqua cristiana (non assimilabile alla Pasqua ebraica, Pesach), la quale viene festeggiata proprio la prima domenica successiva al primo plenilunio susseguente l’equinozio di primavera (l’antico inizio dell’anno solare; proprio per tale ragione la Pasqua non può mai ricorrere prima del 21 marzo).
All’equinozio di primavera è associato uno dei quatto elementi della tradizione: l’aria, simbolo dell'ispirazione, dell'intuizione e della intelligenza che viene ricavata. Elemento peraltro associato agli uccelli, perché capaci di volare, diversamente dagli esseri umani, quindi assimilabili ai messaggeri degli dei. Elemento aria, che nel corpo umano consente il respiro, la prima azione che ogni essere attiva al momento della nascita (il ruach).
Con l’equinozio abbiamo l’ingresso nel segno zodiacale dell'Ariete. Esso simboleggia il fuoco originale che si manifesta all'inizio della primavera, con l’esplosione scoppio delle forze generatrici. È il fuoco “prometeico” al tempo stesso creativo e distruttivo, capace di attivarsi in tutte le direzioni. Le antiche cerimonie pagane prevedono appunto l’accensione dei fuochi in prossimità dell’alba per simboleggiare la purificazione e il rinnovamento della vita.
L’equinozio di primavera segna il momento dell’unione in un simbolismo cosmico, legato al risveglio della natura, al quale si si ricollega il tema del matrimonio fra una divinità maschile, appartenente alla sfera solare, ed una femminile, legata alla terra o alla luna, ove il dio sole si unifica, infatti, con la giovane divinità della terra.
Anche dal punto di vista fisiologico, il nostro corpo vive un momento di "equinozio". Il detto attribuito a Ermete “come in alto così è in basso” anche in questo caso è come sempre appropriato: dal punto di vista macrosmico (alto) dopo l'equinozio di autunno la natura si assopisce per risvegliarsi in primavera (per poi esplodere in estate); dal punto di vista microcosmico (basso) l’essere umano stesso è soggetto ad analoghe trasformazioni fisiologiche (basti pensare all’epifisi, o ghiandola pineale, la quale secerne melatonina in modo inversamente proporzionale alla luce solare che viene ricevuta).
L'equinozio di primavera è una porta attraverso la quale possiamo entrare in uno spazio nel quale sono presenti nuove energie. Finisce uno stadio evolutivo e ne inizia un altro, secondo l’eterno ritorno della ciclicità del tempo, che consente di armonizzare i ritmi dell'essere umano a livello fisico, psicologico e spirituale. Esso segna la fine del periodo oscuro, quello dell'intenso lavoro interiore, il cui obiettivo è sempre lo stesso: la nostra reintegrazione.
Tutto questo è evidentemente molto importante, ma lo è ancor più allorché, soprattutto noi occidentali globalizzati e post industrializzati siamo oramai abituati a considerare gli eventi astronomici da un mero punto di vista scientifico, senza più alcuna correlazione religiosa o spirituale.
Pertanto ricordare questo evento equinoziale non è solo un mero esercizio riferito alla antropologia o a quant’altro. Ricordare e riflettere sulle tradizione riferita all’equinozio può aiutare a ritrovare qualcosa, che stiamo quasi totalmente ignorando nella sua essenza, soprattutto in un momento storico di grande cambiamento epocale, che non ha precedenti, nel quale il livello spirituale, in particolare nei paesi più evoluti dal punto di vista scientifico e tecnologico, è sempre più ridotto e a volte sovente approssimato al puro materialismo, meramente meccanicistico.
Mentre molti appassionati di esoterismo conoscono René Guénon, volevo segnalare uno dei massimi studiosi metafisici (poco conosciuto fuori dalla sua patria) della tradizione "perennialista", l'ungherese Béla Hamvas, che ha avuto, tra l'altro, il merito di far conoscere Guénon in Ungheria.
La vita
Béla Hamvas era nato nel 1897 a Eperjes (Prešov), nella contea di Sáros del Regno d'Ungheria (l'attuale Slovacchia), ma dopo gli studi a Bratislava, nel 1919 dovette trasferirsi a Budapest, avendo suo padre rifiutato di giurare fedeltà alla nuova nazione cecoslovacca.
A Budapest, Hamvas si laureò all'Università Cattolica Péter Pázmány, diventando giornalista, ma dopo tre anni preferì andare a lavorare nella biblioteca principale di Budapest, dove fu nominato bibliotecario senior nel 1927. Tuttavia, dopo quasi 20 anni di lavoro in biblioteca, la sua vita fu sconvolta dallo scoppio della seconda guerra mondiale, e dalle sue tragiche conseguenze, anche politiche.
Durante l'assedio di Budapest da parte delle truppe sovietiche, il suo appartamento fu colpito da un bombardamento che distrusse la sua biblioteca e i suoi manoscritti.
Contrasti con il regime
Dopo la guerra, i suoi studi e scritti risultarono non graditi al regime comunista: per esempio, un punto di contrasto fu la sua difesa del surrealismo e dell'arte astratta, nei quali Hamvas vedeva l'eredità della magia, la "tremenda presenza di un'esistenza superiore", opponendosi nel contempo al movimento artistico del realismo socialista.
Questo concetto di arte moderna venne attaccato dall'ideologo marxista György Lukács e conseguentemente Hamvas fu licenziato dalla biblioteca e i suoi scritti furono inseriti nella lista delle opere di autori (la famigerata lista b), di cui era vietata la pubblicazione.
Prima del divieto, Hamvas aveva pubblicato più di 250 opere, ma la maggior parte dei suoi lavori fu pubblicato successivamente in forma anonima, come samizdat.
Hamvas costretto a fare il giardiniere e poi l'operaio per sopravvivere
Per poter sopravvivere, Hamvas dovette allora richiedere la licenza di giardiniere, lavorando nella tenuta di suo cognato a Szentendre, dal1948 al 1951, ma qui riuscì anche a completare una delle sue principali opere, Karnevál.
Tra il 1951 e il 1964 fu impiegato come operaio non qualificato nelle centrali elettriche di Tiszapalkonya, Inota e Bokod, in condizioni lavorative molto dure (aveva già 55 anni), costretto a scaricare mattoni e a portare pesanti secchi di malta.
Ogni volta che aveva un po' di tempo libero, traduceva dal sanscrito, dall'ebraico e dal greco e scriveva saggi sulla cabala, sullo zen e sul sufismo, riuscendo tra il 1959 e il 1966, a completare Patmosz, la sua ultima opera importante.
Una descrizione sarcastica di quel periodo ce lo fornisce il poeta ungherese della Transilvania Géza Szőcs:
"Nel 1955 in Ungheria viveva una sola persona che avrebbe potuto non solo conversare, ma effettivamente scambiare opinioni con Eraclito, Buddha, Lao Tse e Shakespeare, e questo nella lingua madre di ciascuno.
Se questi quattro profeti dello spirito umano fossero scesi dall'aereo a Tiszapalkonya, e se si fossero rivolti al primo operaio si fossero imbattuti, e se questo fosse stato proprio Béla Hamvas, dopo avergli parlato per tre notti di fila (durante il giorno Hamvas doveva portare la malta, ma forse i suoi ospiti gli avrebbero dato una mano), ebbene, che cosa avrebbero potuto pensare: se in questo paese i manovali sono come quest'uomo, come saranno allora gli studiosi?
Ma se avessero guardato in giro per il paese, avrebbero capito tutto..."
Nel 1964, all'età di 67 anni, finalmente Béla Hamvas poté andare in pensione, ma soli quattro anni dopo, morì per un ictus emorragico.
Il pensiero e le opere di Béla Hamvas
Analizzando la crisi spirituale dell'epoca, Hamvas s'inserisce nella tradizione metafisica, nella conoscenza spirituale collettiva dell'umanità trasmessa dai libri sacri.
La sua raccolta Scientia Sacra (i primi sei volumi, 1942-1943) portò l'attenzione dell'epoca sulla filosofia dell'Estremo Oriente (Upanishad, Tao Te King, Il libro tibetano dei morti e altri) e sul misticismo europeo.
Dal 1945 Hamvas fece parte per tre anni di un rinascimento spirituale ungherese, durante i quali, tra l'altro, curò la pubblicazione del testo "Anthologia Humana - La saggezza di cinque millenni", la cui quarta edizione fu bandita e distrutta dal regime comunista nel 1948.
I saggi di Hamvas sono radicati nella tradizione, lo stile di scrittura é scorrevole e immediato, ben lontano dalla scrittura guenoniana spesso caratterizzata da uno spirito polemico e una certa suscettibilità.
I saggi L'Unicorno, Il Protocollo Segreto e Il Silenzio del 1948–51 furono pubblicati solo quarant'anni dopo nel 1987, ma furono scritti insieme al grande romanzo di Hamvas, Karnevál (1948–51, Carnevale, pubblicato nel 1985). Questa opera, chiamata anche "catalogo del destino", o "commedia umana", abbraccia i continenti e le epoche, il paradiso e l'inferno.
Un'altra raccolta di saggi, Patmos (il cui titolo allude all'esilio di Giovanni Apostolo nell'isola di Patmos) del 1959–1966 fu pubblicata nel 1992, mentre la seconda parte di Scientia Sacra, dedicata alla Cristianità del 1960–64, fu pubblicata nel 1988.
Purtroppo a tutt'ora della vasta produzione saggistica di Hamvas ben poco è stato tradotto in italiano: i due volumi sulla Scientia Sacra editi da Edizioni all'insegna del Veltro, e qualche altro breve saggio.