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Politica

DEBITO PUBBLICO? STORIA DIMENTICATA!

DEBITO PUBBLICO? STORIA DIMENTICATA!

di Gianvito Caldararo
 
Il 7 febbraio del 1992 l'Italia aderiva al trattato di Maastricht, il quale stabiliva il rispetto di determinati vincoli. Il primo vincolo era quello di contenere il deficit entro il limite del 3% e il secondo quello del rapporto tra il debito e il Pil non superiore al 60%. Nell'anno di sottoscrizione del trattato di Maastricht l'Italia registrava già un rapporto debito/Pil del 105,2%. Debito che si incrementa di anno in anno fino a tutto il 2002. Nel 2003 si ha una lieve riduzione rispetto al 2002, per poi continuare ad aumentare fino ai nostri giorni. Eppure, il trattato stabiliva precise regole per il graduale rientro del debito pubblico eccedente la soglia del 60%. In particolar modo bisognava dimostrare che nei tre anni precedenti, il tasso di riduzione doveva essere in media di 1/20esimo all'anno dell'eccesso del rapporto debito/Pil rispetto al 60%. Regola che poteva essere tollerata in relazione ad un avverso ciclo economico.
La verità è che l'Italia è stata sempre sul rischio di finire sotto la procedura di infrazione. La colpa del mancato rientro del debito pubblico viene attribuita alla crisi e non invece al clamoroso fallimento di una classe politica. Una classe politica che in direzione della riduzione del debito pubblico avvia una imponente azione di privatizzazioni delle aziende pubbliche che hanno favorito i privati senza dare allo Stato i vantaggi previsti. Come pure non ha sortito alcun effetto di abbattimento del debito pubblico la vendita del patrimonio immobiliare. La ragione di fondo risiede nel fatto che tutti i governi non sono stati in grado di controllare la spesa pubblica, che nel 2021 ha sfondato il tetto dei 1000 miliardi di euro, attestandosi sul 50% del Pil, mentre il rapporto debito/Pil si attesta sul 150% e il debito veleggia su 2.770 miliardi di euro. Solo in un anno, cioè il 2007, il rapporto del debito pubblico è sceso sotto la soglia del cento per cento, ovvero al 99,7%. Dopo tale anno abbiamo assistito ad un suo costante e vertiginoso aumento , che compromette, con la sua vulnerabilità, la competitività e la crescita economica. Era il marzo del 2014 quando il governatore della banca d'Italia, Ignazio Visco, poneva all'attenzione del governo l'uscita dalla crisi del debito sovrano. Purtroppo, i diversi governi hanno posto in essere solo fragili politiche della spesa pubblica, compromettendo la sostenibilità del debito e il pieno accesso al mercato. Lo stesso governatore sottolineava di come per il nostro Paese " il vero vincolo di bilancio è dato dalla necessità di garantire la sostenibilità del debito pubblico e di mantenere il pieno accesso al mercato finanziario ". Lo stesso governatore Visco, non mancava di evidenziare che " il ricorso annuo del Tesoro ai mercati dell'ordine di 400 miliardi di euro all'anno, in un contesto di tensioni, basta poco a incrinare la fiducia degli investitori, come è successo tra l'estate del 2011 e la primavera del 2012, quando la quota di titoli pubblici italiani in mani estere scese drasticamente".
Nel 2016 la regola del debito pubblico sarà la prima volta che l'Italia è chiamata espressamente all'impegno di diminuzione del debito di 1/20esimo della parte che eccede il limite del 60%.
Ma i governi italiani, anzichè di dare corso ad un graduale riduzione del debito, sono impegnati ad elaborare vere e proprie linee guida per la gestione del debito pubblico, che in ultima analisi significa di allungare la durata media del debito. L'altro problema che si porrà al prossimo governo è quello della crescita economica. E' di tutta evidenza che di fronte ad una crescita economica stentata oppure negativa, garantire la sostenibilità di un debito così vertiginoso sarà sempre più difficile, con il rischio di sostenere un maggior onere in ordine al pagamento degli interessi, che da anni si attesta su circa 70 miliardi di euro. Una entità significativa di risorse che viene sottratta ad una politica degli investimenti. Molto affidamento viene attribuito al PNRR, che con i suoi oltre 200 miliardi di euro si punta al reale cambiamento dell'Italia sotto l'aspetto economico, sociale e produttivo. Però non va sottaciuto che oltre il 60 per cento di tali miliardi non sono sussidi ma dei prestiti, che a partire dal 2026 si dovranno gradualmente rimborsare. In breve sintesi, quello che attende il prossimo governo è una situazione molto difficile, aggravata dalla pandemia, dalla guerra di Russia e Ucraina e per la crisi energetica, che rischia di compromettere l'attività di migliaia di aziende, con il rischio di impreviste conseguenze di una notevole crisi sociale. Auguriamoci che tutto vada per il verso giusto.
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