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Politica

LA CADUTA DEI VALORI SI AFFRONTA CON  LA DEMOCRAZIA

LA CADUTA DEI VALORI SI AFFRONTA CON LA DEMOCRAZIA

di Antonio Foccillo

Parlare oggi di democrazia, economia produttiva, valori, ideali e solidarietà diventa ai più anacronistico e da reduci, tanto da ipotizzare la post democrazia, perché sull’umanità incombono altri disvalori, quali la guerra, il terrorismo, la violenza e la politica delle armi in opposizione alla pace.

Quello che fa riflettere è l’estrema certezza da parte di chi governa i vari processi con cui si affrontano questioni così importanti, senza nessun dubbio e senza nessuna analisi su come si evolverà lo stato delle cose e quali cambiamenti si determineranno.

Ma il compito di chi ha ancora un briciolo di speranza è quello di parlarne, per stimolare le menti, i cuori e nuova passione partecipativa, perché solo così è possibile uscire fuori da questa situazione drammatica.

Oggi vige solo la volontà di affermare il proprio io e le proprie ragioni e limitare gli spazi degli altri per evitare che ci sia anche l’eventualità di un reale confronto e soprattutto di critica.

L’idea di democrazia, che significa confronto, dialogo, partecipazione, pluralismo, con il tempo, con le nuove generazioni, sembra quasi sfuggirci dalle mani, in uno scollamento sempre più sensibile tra rappresentati e rappresentanti.

Il concetto di democrazia è cambiato alla luce delle nuove parole d’ordine che i rappresentanti odierni della politica hanno avanzato, dal sovranismo alla democrazia diretta, dall’autonomia differenziata fino alla legge costituzionale sulla riduzione dei parlamentari.

Sono tutti temi che avrebbero avuto bisogno di un momento di elevatissimo confronto, invece tutto è  avvenuto fra apatia, disinteresse e dibattiti fra pochi intimi.

Mi sento di dire, però, che quella che i più definiscono come la “pancia” delle persone, ossia quel sentire diffuso che si traduce nell’insofferenza e nella diffidenza verso tutto ciò che è politica, non è il prodotto di un secco disamore verso l’attività politica o di una disinteressata apatia civica.

La inquadrerei piuttosto in una smarrita consapevolezza di poter incidere, anche in minima parte, nei processi decisionali dell’impianto democratico del nostro Paese.

In sostanza, si stenta a riconoscersi a pieno titolo in qualcosa di più grande di cui ci si sente attivamente partecipi.

E forse, proprio qui, arriviamo al punto: la partecipazione e, ancor meglio, la sua idea come modellata in questi ultimi decenni dal quadro politico nazionale e internazionale si è sempre più allontanata da quella prevista dalle Costituzioni e dall’esperienza del modello parlamentare.

Sì perché il concetto di democrazia corre di pari passo con quello di partecipazione. Cos’è la democrazia se non il frutto dell’incontro e del confronto dei diversi momenti e spazi di partecipazione offerti alla comunità?

Un’offerta che però in questi anni è andata sempre più scemando. Bisogna partire dal presupposto che una partecipazione consapevole è concepibile solo allorquando vi sono diversi strumenti e luoghi a cui poter accedere per potersi costruire un’idea su quello che ci circonda, attraverso l’informazione, l’ascolto e il dialogo.

Senza questi luoghi, questi momenti, e mi riferisco dai più piccoli e particolari comitati di quartiere fino alle istituzioni parlamentari, la pluralità insita della partecipazione viene meno e prendono vigore individualismi e verità inconfutabili.

Eppure lo scorrere della storia e della cronaca politica sembra esser di tutt’altro parere, abbiamo assistito al declassamento prima dei partiti e delle sue strutture verticali a livello territoriale poi agli attacchi alle organizzazioni sindacali, sia sotto il profilo delle risorse sia delle prerogative.

Il tutto in un quadro dove la rappresentanza ha gradualmente ceduto il passo a ottiche non più proporzionali ma sempre più maggioritarie e distorsive del voto.

In nome dei tagli alla spesa improduttiva, per fare un esempio,  si sono cancellate di fatto le province costituzionalmente previste, privandole della legittimazione elettorale e inibendone le funzioni senza tanto far caso alle conseguenze sui territori e sui cittadini.

E potremmo farne tanti di esempi, tutti con un minimo comune denominatore: la lotta ai corpi intermedi.

Realtà, quest’ultime, che non sempre riescono ad ottenere la stessa influenza della “democrazia diretta” delle piattaforme online, del tweet, dei like, dei social in generale, cioè un’idea di democrazia svincolata dagli strumenti della politica del novecento e che si riconosce in un “click”. Questi sono diventati gli strumenti a disposizione di chi vuole avventurarsi nella partecipazione politica.

Rimango convinto dell’idea che, invece, bisognerebbe ridare dignità a quegli strumenti del novecento che se ancora oggi in tante esperienze resistono, non si comprende perché dovrebbero esser spazzati via come si sta tentando di fare, creando un’opinione pubblica contraria, sostenendo che non sono più attuali. Eppure ci sono tante condizioni negative che fanno supporre che si vive ancora in una società di nuovi schiavi. Anche se spesso viene dipinta d’orata.

Penso che per il nostro Paese la chiave di volta non sia la democrazia del click, ma quella delle assemblee, delle sezioni di partito, delle camere territoriali del lavoro, dei congressi, delle persone che si guardano negli occhi.

Il paese reale chiede alle forze politiche di rilanciare con fermezza la politica che  ridistribuisca la ricchezza (perché questa è la vera condizione per crearne della nuova) che riduca le diseguaglianze, ridia speranza ad un paese che altrimenti rischia di essere stritolato da una crisi che accentua le debolezze strutturali di un sistema economico e istituzionale da tempo in difficoltà.

A mio avviso, è necessario creare quella qualità sociale che rappresenta il tratto distintivo di un’economia che rimette al centro il lavoro e le persone, i loro diritti sociali inalienabili, le relazioni umane e la dimensione comunitaria della produzione e del consumo.

Purtroppo, in questi anni ha vinto un neo liberismo che ne ha smantellato la spesa pubblica, senza mai valutare le ricadute sui costi sociali e, senza voler fare polemica, oggi anche sui costi umani. Lo hanno evidenziato pesantemente i fatti anche di questi ultimi anni, cioè di prevenire problemi purtroppo imprevedibili o quanto meno di corrervi ai ripari.

L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha dimostrato, difatti, anche a chi ha sempre profetizzato l’eccessiva burocratizzazione della macchina del Paese demonizzandola e riducendola sempre più all’osso, quanto sia fondamentale il ruolo e la funzione delle istituzioni dello Stato.

Di fronte alla caduta dei valori, all’affermazione dell’io, al nuovo egoismo politico, economico e sociale, all’affermazione del sovranismo e della demagogia della destra, è necessario un grande impegno anche culturale per rigenerare una politica democratica, nella quale antichi valori possano essere riaffermati. E quali se non la democrazia, la libertà, l’uguaglianza, il riformismo, la laicità, la solidarietà e la coesione?

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