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Opinioni

POVERTA', QUANDO LA PROPAGANDA DIVENTA UN’ARMA SUICIDA

POVERTA', QUANDO LA PROPAGANDA DIVENTA UN’ARMA SUICIDA

di Giuseppe Augieri

Ho letto duri commenti sul documento dell’ISTAT con le stime preliminari per il 2023 riguardo alle spese per consumi delle famiglie, dalle quali derivano i dati sulla povertà assoluta in Italia. Il tono apocalittico di alcuni di essi, per me che a quel documento una scorsa l’ho data, mi è sembrato basato su analisi incomplete e talvolta contraddittorie.

Per me questo è fonte di preoccupazione: non leggere fino in fondo i numeri e non inquadrarli nel "contesto" significa rinunciare a capire cosa sta avvenendo in Italia, sia per motivi endogeni – a loro volta da distinguere tra politici e strutturali - e sia come riflesso delle situazioni internazionali ed europee in particolare. E dunque essere poi impreparati a contestazioni, quelle produttive, e soprattutto a proposte.

Per questo cerco di esporre alcuni completamenti dei numeri indicati, senza aggiungere commenti perché è mio intento chiarire prima di giudicare. Non entro nel merito, per lo stesso motivo, della difesa d’ufficio apparsa sui giornali da parte del Governo.

Dunque, leggo i dati sulla povertà assoluta in Italia (termine con il quale si individuano le famiglie con una spesa inferiore o pari ad una soglia minima e tali da far pensare a gravi forme di esclusione sociale) e vedo, come peraltro dicono i commenti già citati, che nel 2023, questo dato è cresciuto per le famiglie passando dal 9,7% al 9,8% in 12 mesi. Un peggioramento in assoluto, vero, ma una tendenza che segna un miglioramento rispetto a quelle degli anni precedenti, quando l’aumento di povertà era in forte crescita. (+0,7%). L’ISTAT dice che il miglioramento c’è perché l’inflazione si va riducendo. Non c’è, ovviamente, alcun commento sul perché l’inflazione non si è ridotta di più rispetto alle conseguenze di una possibile politica economica più recessiva. Eppure, bisognerebbe parlarne. Il quadro, come si vede, è ben diverso e più complesso di quello oggetto di contestazione.

Le persone che vivono in Italia in povertà assoluta sono comunque circa 5,7 milioni. Anche qui, esattamente come le famiglie, in aumento ma con tendenza migliore rispetto al 2022. Ma perché per i singoli l’aumento delle povertà è maggiore rispetto alle famiglie? Qual è il fenomeno sociale sottostante e come analizzare il tutto con più profondità?

Si nota inoltre come la situazione della povertà assoluta non sia stabile in tutta Italia. Al sud si i numeri indicano un miglioramento netto rispetto al picco del 2022, con quella familiare che scende al 10,3% (-0,4%) e quella individuale che raggiunge il 12,1% (-0,8%). Diverso il discorso al Centro e soprattutto al Nord. Dunque Nord – Sud: avrei da dire qualcosa, ma insisto sul non esprimermi a caldo. Ma prima o poi bisognerà affrontare l’argomento.

Un altro dato sottolineato dalla relazione dell’Istat è quello sulle famiglie con almeno un lavoratore. Il dato sulla povertà si conferma stabile a livello generale, ma aumenta nettamente tra i nuclei la cui persona di riferimento ha un impiego da dipendente, passando dall’8,3% al 9,1%. La correlazione con l’abbandono del R.d.C. (comunque il Reddito di Inclusione c’è) è estremamente labile. La stessa ISTAT ne fa implicitamente un cenno. Sicuramente c’è più correlazione nei confronti del basso livello retributivo in generale: forse quasi nulla per i minimi salariali oggetto della proposta di “minimo garantito”; di più dal mancato recupero del reddito reale nei milioni di contratti “legali”. Il cui rinnovo toccherebbe non al Governo. Ne vorrei discutere. E vorrei anche parlare di come è cambiata la spesa, per composizione ed importi, delle classi meno abbienti e perché.

Vi sono ancora molti altri dati da considerare: ma sono stato già sin troppo prolisso.

Quello che vorrei invece suggerire è di leggere, assieme all’ISTAT, anche i dati – ed i commenti – che provengono da NOMISMA, la società di ricerche economiche fondata nel 1981 da Romano Prodi. Il riassunto è il seguente: l’Italia è al top in Europa. Infatti: «L’Europa è ferma, Germania e Inghilterra sono in recessione, l’Italia invece cresce, l’indice è inferiore all’1% ma è una performance assai positiva in una situazione in cui l’Europa arranca. E si intreccia con l’inflazione più bassa dell’area Ue». Il giudizio è corredato da analisi che darebbero risposta alle domande che, almeno io, mi sono posto: insomma sanerebbero apparenti contraddizioni.

Il giudizio della finanza internazionale, come è noto e come tutti gli indici confermano, è lo stesso di NOMISMA. Il tutto si aggiunge ai dati sull’occupazione che va bene; quella stabile in particolare. C’è da pensare dunque che in Italia ci sarebbe da affrontare un problema di welfare e di prospezioni sociali, di distribuzione del reddito più che un problema di politica economica. Discutendo di tutti gli elementi che sono sul tappeto. Forse sarebbe il caso di pensarci. Pena una musata colossale.

Per questo credo che se tutto il can can sollevato serve solo per dire che il Governo deve andare a casa, e si prendono come motivo analisi incomplete, non si sta facendo un buon servizio all’Italia. Soprattutto a quella povera.

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