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Cultura

POLITIKÉ – DUE

POLITIKÉ – DUE

Mistici politici - Sottrarre la politica alla Sofistica deteriore

 di Angelo Tonelli

Parmenide legislatore

     Come è stato detto, Parmenide, oltre che essere sacerdote di Apollo guaritore, studioso della Natura e il mistico del Grande Uno a cui dedica il suo Poema, era anche legislatore, e fornì alla sua città leggi che le consentirono di diventare florida e potente:

     “Si dice anche che egli abbia dato leggi ai suoi concittadini, come dice Speusippo nel suo scritto Intorno ai filosofi”.

(Diogene Laerzio, Vite dei filosofi IX, 23)

Empedocle contro il potere

     Per restare in Magna Grecia, Empedocle di Agrigento fu sciamano guaritore, dotato di poteri non ordinari, e physikós, ovvero studioso della Phýsis, la Natura, e della sua essenza, ma proprio questa sua eccellenza spirituale gli guadagnò tale prestigio politico che la città gli propose di diventare re. Il pitagorico Empedocle declinò l’invito:

     “Dice inoltre Aristotele (fr. 66 Rose) che egli era uno spirito libero e riluttante a qualsiasi potere, se è vero che rifiutò il regno quando glielo offrirono, come riferisce Xanto nella sua opera su di lui, poiché evidentemente preferiva la semplicità (64). Anche Timeo (fr. 88a, FHG I 214) ha detto le stesse cose, aggiungendo il motivo per cui il nostro uomo era favorevole alla democrazia. Dice infatti che Empedocle fu invitato da uno dei magistrati, ma poiché la cena andava avanti e non si portava da bere, mentre gli altri tacevano, egli, irritato per la maleducazione, ordinò di portarne, e quello che lo aveva invitato disse che stava aspettando l’ufficiale del Consiglio. E, quando giunse, costui fu nominato direttore del simposio, evidentemente per disposizione di chi aveva fatto gli inviti, e aveva in mente un progetto di potere tirannico: diede infatti ordine di bere o di versarsi il vino sul capo. E allora, dunque, Empedocle se ne rimase zitto e tranquillo; ma il giorno dopo, condottili in tribunale, li fece giudicare e mettere a morte entrambi, sia quello che aveva fatto gli inviti, sia il direttore del simposio.. Fu questo, per lui, l’inizio della vita politica.

(Diogene Laerzio, De vitiis et placitis philosophorum VIII 63-64)

Zenone cospiratore

   Zenone, l’allievo prediletto di Parmenide, l’escogitatore dei paradossi spaziotemporali che ancora minano i fondamenti della logica doxastica, eresse un baluardo di pensieri-parole a difesa della metafisica immanentistica e monistica del maestro, a tutela della purezza del ”cuore che non trema della ben rotonda verità”, irridendo le aporie del mondo sensibile alla luce dell’astrazione dialettica; ma fu anche fervente cospiratore antitirannico:

     “Poiché volle rovesciare il tiranno Nearco (altri invece dicono che si trattava di Diomedonte), fu arrestato, come riporta Eraclide nell’Epitome di Satiro: in tale occasione fu anche interrogato, perché facesse i nomi dei complici e fornisse spiegazioni sulle armi che portava a Lipari, ed egli fece il nome di tutti gli amici del tiranno, volendo lasciarlo isolato. Poi, sostenendo di avere alcune cose da dirgli all’orecchio a proposito di alcuni complici, lo morsicò e non lo lasciò andare finché non fu ferito a morte, subendo una fine analoga a quella del tirannicida Aristogitone. Democrito, negli Omonimi, afferma invece che gli tranciò il naso. Antistene, nelle Successioni dei filosofi, asserisce che, quando Zenone ebbe denunciato gli amici del tiranno, quest’ultimo gli domandò se ce ne fosse qualcun altro: ed egli rispose: ‘Tu, la sciagura della città’. E si rivolse agli astanti, dicendo: ‘ Mi meraviglio della vostra viltà, se siete schiavi del tiranno per timore di subire quanto io sto sopportando’. E infine, tranciatasi la lingua, la sputò contro di lui; e i suoi concittadini, infiammati, subito lapidarono il tiranno”.

(Diogene Laerzio, Vite dei filosofi IX, 26-27)

Melisso, lo stratega trionfante

   Melisso, il Sapiente che affermò l’infinità del “ciò che è” parmenideo , fu anche valente stratega e sconfisse gli Ateniesi in una battaglia navale:

       “Melisso visse ai tempi di Zenone di Elea e di Empedocle. Scrisse un libro “Su ciò che è”. Fu avversario politico di Pericle e, in qualità di stratega dei Sami combatté, contro Sofocle, il poeta tragico, una battaglia navale nella ottantaquattresima Olimpiade (444-441)”.

( Diogene Laerzio, Vite dei filosofi IX 24)

Zalmoxis, sciamano e consigliere del re

     E volgendo lo sguardo a ritroso, alla sfera presapienziale e sciamanica, troviamo Zalmoxis di Tracia, che fu consigliere del re e godette di grande prestigio nella sfera politica:

     “Si racconta che uno dei Geti, di nome Zalmoxis, fu schiavo di Pitagora, e da lui apprese talune conoscenze relative ai corpi celesti, e altre ne apprese dagli Egiziani, poiché nel suo preregrinare giunse anche fino a loro. Rientrato in patria, acquisì grande credito da parte dei primati e del popolo, predicendo i fenomeni celesti.     Alla fine riuscì a convincere il re a associare al suo potere un uomo come lui che era capace di riferire la volontà degli dei. Inizialmente fu nominato gran sacerdote del dio sommamente onorato presso di loro, e in seguito fu anche chiamato dio egli stesso. Insediatosi in una dimora sotterranea inaccessibile agli altri, viveva là, incontrando solo raramente chi viveva fuori di essa, a eccezione del re e dei suoi ministri. Il re collaborava con lui, poiché vedeva che la popolazione gli era più sottomessa di prima, perché impartiva disposizioni secondo la volontà degli dei.

   Questa usanza si è estesa fino a noi, perché c’è sempre stato qualcuno che l’ ha ripresa, ovvero colui che era il consigliere del re, ma che dai Geti veniva chiamato dio. E la montagna veniva detta sacra, e così era definita. Ha nome Kogaíonon, proprio come il fiume che scorre nelle sue vicinanze. E quando sui Geti regnò Byrebistas, contro il quale il Dio Cesare aveva già preparato una spedizione, Deceneo ebbe questo incarico prestigioso. E la tradizione pitagorica instaurata da Zalmoxis, di astenersi dalla carne di esseri animati, è perdurata nel tempo.

(Strabone VII 3, 5)

Epimenide purificatore, mentore di Solone

     E Epimenide di Creta, purificatore di città, secondo una fonte non inattendibile, fu anche consigliere di Solone:

       “…E certi terrori superstiziosi, e spettri, occuparono la città, e gli indovini annunciavano che nel corso dei sacrifici si manifestavano sacrilegi e contaminazioni, che dovevano essere purificati. Fu così che, convocato dagli Ateniesi, venne da Creta Epimenide, figlio di Festo, che viene annoverato come settimo tra i Sapienti da quanti non vi includono Periandro. Godeva fama di essere caro agli dei e sapiente nelle cose divine e nella sapienza relativa alle possessioni e alle iniziazioni. Per questo gli uomini di quell’epoca lo dicevano anche figlio della ninfa Balte, e “nuovo Curete”. Una volta giunto strinse amicizia con Solone e fece molte cose a suo favore e gli aprì la via per la sua azione legislativa. Fece in modo che gli Ateniesi fossero ben disposti nei confronti dei riti e più moderati nel lutto, associando subito certe offerte sacrificali ai riti funebri, e eliminando la durezza e l’indole barbarica che in precedenza caratterizzava la maggior parte delle donne. Epimenide dunque godette di grandissima ammirazione da parte degli Ateniesi, che gli offrirono anche molto denaro e grandi onori, ma lui se ne andò, senza avere chiesto e preso nient’altro che un germoglio dell’olivo sacro.

(Plutarco, Solone 12)

Pitagora, Sapiente politikós

     Ma l’esempio forse più perfetto della complementarietà tra ricerca interiore e impegno nella vita civile e politica è Pitagora, e con lui l’ampia schiera dei suoi discepoli.

     Accanto alle pratiche meditative e sciamaniche che consentivano la realizzazione di uno stato di coscienza unitario e pacificato, garanzia di reincarnazioni privilegiate dopo la morte; alla partecipazione a una vita comunitaria in cui la donna godeva di una parità con gli uomini non rintracciabile altrove nel mondo greco; alla scansione della giornata in ritmi alterni di lavoro, meditazione e studio e all’ascolto della musica come mezzo di elevazione noetica dell’anima e di armonia realizzata; accanto allo studio di una aritmogeometria sacra e alla articolazione in chiave numerica del rapporto tra l’Uno e i Molti, aritmogeometria che in seguito, desacralizzata, divenne la base per ogni futuro sviluppo dell’approccio scientifico alla realtà…accanto a tutto questo la via pitagorica prevedeva un impegno nella vita civica, che condusse molti dei suoi adepti a cimentarsi nell’agone politico, dalla parte degli aristocratici, e ad assumere incarichi di rilievo nel governo delle città, in particolare a Crotone, Sibari, Metaponto, Taranto.

     A Taranto, in particolare, fiorì Archita pitagorico, amico di Platone, che fu filosofo, matematico, scienziato, inventore, musicologo e politico. Seguace dello stile di vita pitagorico, fu nominato sette volte stratega, e sotto la sua guida Taranto divenne la città più potente della Magna Grecia, grazie alla sua politica di espansione commerciale e di sviluppo dell’agricoltura. Pare che avesse anche promulgato leggi che favorivano un’equa distribuzione delle ricchezze, in accordo con la concezione pitagorica dell’armonia. Fu lui a sostenere Platone quando nel tentativo di instaurare a Siracusa il governo di un re filosofo finì per trovarsi in difficoltà.

Socrate martire, e la dialettica come azione politica

     Per non dire di Socrate, che rifulge come un dio martire della Sapienza nella memoria del mondo, per la fede e la coerenza assoluta che dimostrò nell’adempiere la missione che gli aveva assegnato il Dio di Delfi:

     “Ma allora perché a molti fa tanto piacere trascorrere molto tempo in mia compagnia? Lo avete udito, Ateniesi, vi ho detto tutta la verità: si divertono quando viene messo alla prova quando qualcuno che pensa di essere sapiente mentre non lo è. Infatti non è una cosa spiacevole. Ma per quel che mi riguarda – lo dico – dal dio mi è stato prescritto di fare così, attraverso oracoli, sogni e con tutti gli altri mezzi che gli dei usano per ordinare agli umani di fare qualcosa”.

(Platone, Apologia di Socrate, 33b-33d)

     Socrate era Sapiente apollineo, come dimostra la sua padronanza della dialettica e l’esercizio di essa come strumento per destrutturare il falso ego dei suoi antagonisti e favorirne l’accesso alla conoscenza superiore dell’Uno, di cui Bene è nome mistico.

     E apollinea, all’insegna di Apollo Oúlios, ovvero guaritore, era la sua vocazione a guarire le anime dalla prigionia della falsa opinione, attraverso un lógos raffinatissimo che radicava in rigorose pratiche meditative. Nel Simposio Alcibiade racconta di avere assistito a una sua intensissima meditazione in piedi, non dissimile da analoghe pratiche taoiste, protrattasi per ventiquattro ore, e conclusa con una preghiera al sole (Plat., Symp. 220c-d). e sempre nel Simposio, all’inizio del dialogo, troviamo Socrate impegnato nella medesima pratica:

     “Se ne sta lì, ritto in piedi, e non vuole entrare…questa è la sua consuetudine: talora si apparta dove gli capita e se ne sta lì ritto in piedi”

(Platone, Simposio 175b)

Platone e il filosofo re

    

     Concludiamo proprio con il gesto di Platone, nel passaggio dall’epoca della Sapienza a quella della filosofia, questa disamina cursoria di esempi illustri di una coniugazione inscindibile tra misticismo e politica, ricerca della realizzazione interiore e impegno nella pólis.

         Sappiamo dalle sue lettere che a un certo punto della vita decise di provare a tradurre in azione politica le sue realizzazioni spirituali, e mosse per ben tre volte, sempre con esiti disastrosi, alla volta della corte di Siracusa dove interagì con Dionisio, Dione e Dionisio II, variamente impegnandosi a cercare di fornire al regnante di turno un’educazione da autentico filosofo, nella convinzione che solo i filosofi fossero in grado di essere buoni governanti.

    

“…infine venni a riconoscere che tutti gli Stati attualmente esistenti sono mal governati, giacché senza un prodigioso sforzo cui dovrebbe venire in aiuto un caso fortunato, le loro leggi sono quasi insuscettibili di miglioramento. E così non vidi altra possibilità fuorché ascrivere a lode della filosofia che solo partendo da essa la vita dello stato e del singolo potesse essere continuamente posta sotto il punto di vista della giustizia. Il genere umano dunque non sarebbe mai stato liberato dal male se prima non fossero giunti al potere i legittimi e veri filosofi, o i reggitori di Stato non fossero, per divina sorte, divenuti veramente filosofi’

(Platone, Lettera VII 326 a-b) ”.

     Al di là del fallimento effettuale dei tentativi in Sicilia, quel che conta è la generosità del gesto utopico, a contrastare la distopia della gestione della vita politica da sempre affidata nella quasi totalità dei casi a individui di scarsa caratura interiore e quindi destinati e designati a ricalcare le dinamiche deteriori della storia.

La mancata educazione sapienziale dei governanti

     Attraverso i millenni, adesso che la civiltà occidentale versa in una crisi ecoantropologica senza precedenti proprio per la mancata educazione sapienziale dei governanti, questo gesto si fa emblematico di una necessaria convocazione a una rivoluzione antropologica che rigeneri sia le élites che i popoli del pianeta blu.

La disgregazione sofistica della Sapienza

     La disgregazione della figura del Sapiente come modello di piena realizzazione interiore in connessione con il sacro, di cui sono mirabili esempi Pitagora, Eraclito, Parmenide e Empedocle, ha inizio con la prima Sofistica, e in particolare con Gorgia e Protagora.

     Gorgia trae in inganno chi non abbia ben chiaro che cosa significhi essere Sapiente.

     La mirabolante tessitura dialettica del suo trattato più famoso, Dell’Origine, ovvero Su ciò che non è, gravita, rovesciandola, intorno alla rivelazione parmenidea: “ciò che è è e non è possibile che non sia”. E il titolo stesso dell’opera di Gorgia è un rovesciamento esplicito di quello del poema parmenideo: “Dell’Origine ovvero Su ciò che è”.

     “Nell’opera intitolata ‘Su ciò che non è, ovvero sull’Origine’, dimostra tre proposizioni fondamentali, nel loro concatenamento. Una e la prima è che ‘non è nulla’; la seconda che ‘se anche è qualcosa non è rappresentabile’; la terza che ‘se anche può essere rappresentata, non si può scomunicare e spiegare agli altri”.

(Sesto Empirico, Contro i matematici VII 65 ss., )

   Gorgia contesta il “cuore che non trema della ben rotonda verità” di Parmenide, quell’Assoluto che il Sapiente di Elea pone a fondamento dell’Uno-Tutto dicendo di esso che “è”. Per Gorgià, il fondamento è Nulla, ovvero “ciò che non è”.

     Per Parmenide verità, pensabilità e comunicabilità dell’Assoluto sono inscindibili, mentre il Nulla, ovvero ciò che non è, non è pensabile né comunicabile.

     Per Gorgia, invece, il fondamento è nulla, ovvero “ciò che non è”, e non è conoscibile né comunicabile.

     Gorgia potrebbe sembrare un mistico più radicale di Parmenide, un apofatico che nega qualunque conoscibilità e predicabilità dell’Assoluto per preservarne la purezza, come, mutatis mutandis, Dionigi Aeropagita, Meister Eckhart o Jacob Böhme.

   In realtà sta espellendo l’Assoluto dalla contiguità con la sua espressione, ovvero con la psiche e il mondo.

     E una volta separato l’umano, e la sua psiche, dalla costante connessione con il sacro fondamento, allo stesso modo che il tronco e le fronde dell’albero sono tutt’uno con le radici, si può sradicare la conoscenza, e la comunicazione di essa, dal”cuore che non trema della ben rotonda verità”, e declinare la dialettica in retorica, quella magia della parola che può torcere a suo piacimento la realtà:

     “La parola è un potente sovrano, poiché con un corpo piccolissimo e del tutto invisibile conduce a compimento opere profondamente divine. Infatti essa ha la virtù di troncare la paura, di rimuovere il dolore, d’infondere gioia, d’intensificare la compassione”.

(Gorgia, Elogio di Elena VIII 61-65, trad. M.Untersteiner)

     “E appunto la parola, che persuade la mente, costringe la mente che essa riesce a persuadere, tanto a lasciarsi sedurre da ciò che viene detto, quanto ad approvare ciò che viene fatto. Quindi, chi persuade, in quanto esercita una costrizione, si rende colpevole; la mente che si lascia persuadere, in quanto è costretta dalla parola, a torto gode mala fama. Quanto ala fatto che la persuasione, quando si aggiunge alla parola, anche nell’anima segna l’impronta nel modo che vuole, questo è da osservare: è necessario ottenere una chiara conoscenza, anzitutto, delle trattazioni dei fisiologi, i quali, col sostituire un’opinione a un’opinione mediante l’eliminazione di una, e la formulazione di un’altra, fanno in modo che le realtà sfuggenti a un’impressione e a una visione immediate si rivelino agli occhi di un’immaginazione comprensiva; in secondo luogo delle perentorie argomentazioni dei discorsi giudiziari nel cui svolgimento un discorso diletta e persuade un’ immensa massa, quando sia stato scritto secondo i precetti artistici, non detto secondo verità; in terzo luogo delle sottili discussioni introno a temi filosofici, nelle quali si mostra anche la rapidità del pensiero, in quanto rende facilmente mutevole la fiducia in una rappresentazione. Identico rapporto ammettono la potenza della parola di fronte alla condizione dell’anima e la prescrizione di farmachi rispetto alla natura del corpo. Infatti, come alcuni farmachi eliminano dal corpo alcuni umori, altri altri, e certi strappano alla malattia, altri alla vita, così delle parole alcune affliggono, altre dilettano, altre atterriscono, altre dispongono chi ascolta in uno stato di ardimento, altre infine, con un’efficace persuasione maligna avvelenano e ammaliano l’anima.

   Orbene, che essa (Elena), se dalla parola fu persuasa, non commise una colpa, ma si trovò in una situazione non favorevole – è stato dimostrato”.

(Idem, ibidem, XII 92-XV 116)

     Con Gorgia inizia la forclusione del noũs – ovvero l’”organo” interiore di connessione tra individuo e Uno-Tutto, tra goccia e Oceano –, dalla psicogeografia degli umani, con una delocalizzazione del Centro, dal Sé all’Io, e la laicizzazione del Sophós. Non a caso Parmenide era sacerdote di Apollo Oulios, Eraclito consacrò il suo libro nel tempio di Artemide a Efeso, Empedocle era anche sciamano-guaritore, Pitagora lo ierofante di una cerchia iniziatica, mentre Gorgia è un principe del Foro, o dell’Agorà, sicuramente evoluto e con radici nella Sapienza eleatica, ma ormai in cammino su un’altra via.

      

     Una via battuta anche da Protagora, l’altro grande Sofista, che sul silenziamento del Fondamento – il ciò (tó) di cui si deve dire che è (eón) – insediò il trionfo dell’Io umano, che divenne il cardine e la misura (métron) dell’Essere e del cosmo:

     “Di tutte le cose è misura l’uomo, di quelle che sono in quanto sono, e di quelle che non sono in quanto non sono” (80 B1 DK)

     E non sazio di questa revulsione del Centro psicocosmico dal Sé all’Io, umano, troppo umano, apri la via al più radicale relativismo gnoseologico, attraverso una eccellenza retorica, svincolata dall’alétheia, ovvero dalla verità, che declinò nella virtuosistica e funambolica formulazione delle antilogie:

     “Su uno stesso argomento si possono formulare due discorsi opposti”

(80B 6a DK)

   “Rendere più forte il discorso più debole”

(80 B6b DK)

     La desacralizzazione del lógos è compiuta, e non c’è più spazio, in esso, per gli Dei:

     “Intorno agli dei, non posso essere certo che esistano né che non esistano, poiché molte cose sono da ostacolo a ciò: l’oscurità della questione e la brevità della vita umana”. (80 B4 DK)

   Si apre così la via a una dimensione politica del lógos, del tutto svincolato, sia in quanto pensiero che in quanto parola, dalla Verità, asservito alla volontà di potenza individuale, e sganciato dall’etica, come per esempio in Antifonte Sofista. E da qui in poi pressoché sempre e sempre più, fino alla culminazione in questa nostra epoca contemporanea dominata dalla progressiva e definitiva vittoria della sofistica declinata in chiave mediatica e social.

Dissoí lógoi e fake news

     I Dissoí lógoi, ovvero i Ragionamenti doppi, opera anonima del V-IV secolo a. C., erano in grado di esibire due discorsi contrastanti entrambi “veri” su qualsiasi oggetto. Ma esisteva un oggetto comune dei due discorsi, un fatto. Adesso invece grazie alla velocità della comunicazione telematica e alla raffinatezza degli strumenti di costruzione delle notizie, nonché alla sempre crescente prestanza della dimensione virtuale, che ha creato un livello di realtà parallelo a quello ordinario ma dotato di altrettanta “oggettività”, vengono creati anche “doppi oggetti” tra di loro contrastanti entrambi “veri”: si pensi alle fake news, che spesso associano al “discorso”, ovvero alla notizia comunicata video o fotografie comprovanti. A colpi di fake news si sono combattute e vinte o perse campagne elettorali negli USA, si sono avviati conflitti devastanti (le armi di distruzione di massa dell’Iraq che furono casus belli per l’abbattimento del regime di Sadam Hussein), e gestite o contestate le strategie di contrasto alla covid 19.

     Occorre, con tutta evidenza, sottrarre la politica alla Sofistica deteriore, e con essa tutte le forme di esercizio di governo in ogni campo della vita civile, e tornare, per così dire, a Elea, a Parmenide e Alétheia, ovvero al senso di un radicamento necessario del pensiero e dell’azione in un fondamento sacro che accomuna tutti i viventi, senza che vi sia spazio per dogmatismi e, sia consentito il gioco di parole, fondamentalismi.

Nella fotografia Angelo Tonelli

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