Come é bella la pace anche solo come assenza di guerra. Come é bello il cielo di Gaza senza aerei che bombardano e le piazze di Tel Aviv e di Ramallah che festeggiano gli ostaggi liberati e i prigionieri politici scarcerati. E come é bella anche la foto di Sharm el Sheikh, con la sfilata di tutti i capi di stato che hanno siglato o sostenuto l’intesa. Stona un pò che l’unica donna presente, la Meloni, sia stata confinata all’estremità, ma si sa sulle donne i paesi arabi sono ancora poco distanti dal medioevo. Festa dunque per i venti ostaggi, che non appaiono nemmeno in condizioni disastrose nonostante i due anni di prigionia. E festa anche per le centinaia di detenuti (alla fine dovrebbero essere quasi 2mila) rilasciati da Israele, nonostante pesanti condanne per atti di sangue.
Il problema é che in questo procedere per gradualità sui venti punti di Trump, i più complicati risultano tuttora almeno parzialmente irrisolti. E soprattutto due: il completo disarmo di Hamas e il governo futuro della striscia. Si tratta, a mio avviso, giustamente, di due punti decisivi per Israele il cui obiettivo di distruggere l’organizzazione terroristica era ed é tuttora pienamente giustificato.
Il primo di questi due punti recita: “Una volta restituiti tutti gli ostaggi i membri di Hamas che si impegneranno nella pacifica convivenza e alla consegna delle armi saranno amnistiati. I membri di Hamas che vorranno lasciare Gaza troveranno un passaggio sicuro verso paesi disposti ad accoglierli”. Dunque il disarmo di Hamas, che non pare ancora accolto dall’organizzazione terroristica, é premessa per il salvataggio della vita ai membri dell’organizzazione.
E soprattutto il punto 13: “Hamas e le altre fazioni accettano di non svolgere alcun ruolo nella governance di Gaza, né direttamente, né indirettamente, né in alcuna altra forma. Tutte le infrastrutture militari, terroristiche e offensive, compresi i tunnel e gli impianti di produzione di armi, saranno distrutte e non ricostruite. Ci sarà un processo di smilitarizzazione di Gaza sotto la supervisione di osservatori indipendenti, che includerà la messa fuori uso definitiva delle armi attraverso un processo concordato di smantellamento, supportato da un programma di riacquisto e reintegrazione finanziato a livello internazionale, il tutto verificato dagli osservatori indipendenti. La nuova Gaza si impegnerà pienamente a costruire un’economia prospera e a coesistere pacificamente con i propri vicini”.
E poi il futuro governo di Gaza. In attesa che l’Autorità nazionale palestinese concluda il suo piano di riforme (perché evidentemente é all’Anp che Gaza deve essere ceduta, ma quale piano di riforme dovrebbe concludere l’Anp non si sa) lo governeranno assieme a palestinesi tecnocratici e non politici (cosa significhi non è chiaro) esperti internazionali “sotto il controllo e la supervisione di un nuovo organismo internazionale di transizione, il Consiglio di pace, presieduto dal presidente Trump con altri membri e capi di stato da annunciare (chi non é scritto e scelti da chi neppure), tra cui l’ex primo ministro Tony Blair”.
Vedremo nei prossimi giorni gli sviluppi del piano di pace. L’elemento che induce a una moderata e razionale fiducia é il consenso convinto di tutti gli stati arabi, ovviamente meno l’Iran, e della stessa Turchia, e poiché gli Hezbollah sono stati sconfitti in Libano, Hamas é praticamente quasi isolata e impossibilitata ad agire. E’ la prima volta, e di questo non si può che essere grati a Trump (anche se la Lega araba aveva già preso posizione contro Hamas nel vertice di circa un mese fa), che gli stati arabi (solo due di questi avevano riconosciuto Israele, cioè Egitto e Giordania) assumono una posizione in consonanza con la comunità atlantica. La pace non sarà solo una tregua? Durerà e aprirà le porte alla creazione di uno stato palestinese? E che pacificamente vivano israeliani e palestinesi? E’quello che si augura il mondo libero e responsabile.