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Economia

IL GAS RUSSO E QUELLO DI ALTRI

IL GAS RUSSO E QUELLO DI ALTRI

di Antonio Bettelli

Alcuni giorni di forzato ritiro mi espongono agli effetti di una iper informazione: televisiva, giornalistica e social. Mi capita così di leggere e di vedere un po' di tutto e, spesso, il contrario di tutto.

In piena campagna elettorale, i temi ricorrenti sono il gas e le risorse energetiche, insieme alle discussioni sull’efficacia della sanzioni e sugli effetti che queste ultime produrrebbero anche a danno di noi europei, in particolare dell’Italia che, tra le molte Nazioni dell’Occidente anti-Putin, sembrerebbe soffrire maggiormente gli effetti della crisi in atto.

A monte di tutto, leggendo i titoli di questi giorni sul ricatto di Mosca, acutizzatosi con la chiusura del Nord Stream sine die, e al quale il varo dell’ottavo pacchetto di sanzioni europee dovrebbe concorrere a fornire risposta, la domanda che mi pongo è se noi europei non dovremmo, anziché recriminare la chiusura dei collegamenti energetici tra est e ovest, dichiararci soddisfatti della decisione di Mosca, presa per una misura che parrebbe risultare, sottostando alla logica sanzionatoria, auto-punitiva per Putin e per l’establishment oligarchico russo (tutto ciò che passa per il Nord Stream si traduce in un ricavo per Gazprom e per le consociate aziende russe).

È evidente che la mancata fornitura di gas, non con equo nocumento per gli stati occidentali del continente europeo, implica una carenza importante (per l’Italia, a oggi, il 18 % degli afflussi di gas verso il nostro Paese) da ripianare con altre risorse che saranno, per una logica di libero mercato, più costose. Sul piano dei principi sanzionatori, il mancato afflusso di gas russo, quindi il mancato profitto da parte di Mosca, dovrebbe essere motivo di soddisfazione. Una soddisfazione che, seppur non priva per noi di conseguenze importanti, e tali da imporci pesanti sacrifici, dovrebbe appagarci sul piano dell’etica nazionale e comunitaria.

Così non è. Si parla di ricatto, manifestando riprovevole stupore per una misura coercitiva applicata da uno Stato in guerra con l’Ucraina e con l’Occidente, anziché annoverare quella decisione come un contributo autolesionestico agli effetti delle sanzioni economiche e commerciali. Insomma, qualcosa non torna e mi piacerebbe capire.

Non vorrei che il gas di cui oggi siamo deprivati possa già essere stato pagato dalle partecipate europee, poiché, se così fosse, allora veramente si tratterebbe di ricatto. La mia potrebbe essere un’illazione, anzi lo è di certo, ma vorrei che qualche esperto spiegasse qual è la logica di questo ricatto e perché noi europei, anzichè manifestare recriminazione, palesando uno stupore dissonante e bizzarro, non plaudiamo alla decisione auto-sanzionatoria di Putin.

Mi pare, poi, che il tanto discusso tetto al prezzo del gas voglia assolvere una duplice funzione: verso le aziende fornitrici dell’Occidente, per calmierare con un provvedimento centralizzato di natura statalista la spietata logica del libero mercato, e verso le aziende russe, per persuaderle a continuare a fornire gas a prezzi edulcorati ai distributori occidentali, nel rispetto, peraltro, di impegni già sottoscritti e quindi in perdita viste le circostanze.

Senza trascurare il fatto che nessuno tra coloro che discutono e decidono di politica europea di governo è stato ancora in grado di accennare con concretezza al peso economico ponderale che le sanzioni esercitano sui vari Stati dell’Unione. Se i provvedimenti sanzionatori, che tutti ci auguriamo efficaci verso Mosca, sono l’impegno anche etico dell’Europa contro la guerra decisa da Putin, allora gli effetti che da queste misure si producano dovrebbero essere equamente distribuiti tra gli alleati e non, invece, usati per creare meccanismi di subordinazione o di privilegio all’interno di una comunità che ha nella pari dignità dei suoi appartenenti il principale fattore di aggregazione.

Oneri ed onori, equamente distribuiti su base ponderale, con meccanismi ripartitori che dovrebbero essere al cuore dei calcoli ragionieristici degli staff commissariali europei. Solo in tal modo l’Europa sarebbe veramente unita. Lo scotto da pagare, se non si dovesse presto arrivare a questa equanimità economica e solidaristica, è molto più grave e cioè che l’alleanza europea perda la prerogativa esistenziale della coesione.

Spesso evochiamo l’Europa come la salvatrice dei nostri problemi, lo abbiamo fatto per il COVID e ora lo stiamo facendo per la crisi energetica, ma ci dimentichiamo che l’Europa siamo noi europei e che ogni misura che implichi oneri dovrebbe essere condivisa, affinché il sacrificio sia non solo di tutti, ma anche tra tutti equo.

Insomma, a me pare che se è vero che noi europei abbiamo enormi difficoltà persino a immaginare un confronto bellico con l’est continentale e mondiale, e i timori sono tutt’altro che ingiustificati (la guerra la cercano i popoli guerrieri e, quando lo fanno, ciò accade solo perché essi hanno ragionevole certezza che il bilancio costi-benefici volgerà a loro favore), è altrettanto innegabile che noi europei stiamo dimostrando grandi difficoltà a condurre l’unica guerra che ci possiamo permettere con Mosca (o che, forse, non ci possiamo permettere affatto): quella economica.

 

 

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