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Cultura

LE CRONACHE DI ATLANTIDE

LE CRONACHE DI ATLANTIDE

di Angelo Ciccarella

Capitolo tratto da “Le cronache di Atlantide”
 
Ho maturato la convinzione che per i fisici odierni non esiste, né può esistere, alcuna specifica concezione della Natura, tutto essendo destinato a rimanere indeterminato e indeterminabile. Per essi, ciò che veramente importa non è tanto interpretare i fenomeni della realtà in un modo o nell'altro, ma solo essere in grado di prevederli e di collegarli tra loro in un modo che sia suscettibile di essere sperimentalmente verificato. Vi sono eccezioni. 'I buchi neri. La fine dell'universo?' è il titolo di un libro di John Taylor uscito il 1978, per Armenia e lo si può trovare in via Merulana a Roma, presso la nota Libreria Rotondi. Lo acquistai con curiosità, anche perchè l'argomento mi intrigava assai.
Stelle collassate diventano corpi neri che posseggono temperatura ed entropia definite dal loro campo gravitazionale e dalla loro superficie. Che fanno questi corpi neri? Irradiano particelle, così perdono progressivamente massa fino ad evaporare. Cosa succede poi? Inghiottono ogni cosa? Diventano finestre verso altre dimensioni? Molte le ipotesi. Era un periodo d'oro per me, in quanto passavo dalla metapsichica allo sciamanismo, l'alchimia e la scienza di frontiera; studi tipici di un dilettante incasinato ma entusiasta alla conquista della conoscenza.
Il mio maestro poteva apparire l'ultima persona al mondo in grado di discettare di teoria della relatività o di parametri fondamentali dell'universo come la velocità della luce, la costante di gravità universale, la massa dell'elettrone, l'intensità della forza nucleare; sì, sembrava inappropriato a qualsivoglia discussione scientifica, ma che dico, intorno alle più semplici leggi fisiche dell'universo.
Quando gli illustrai le tesi di fondo del libro, lui mi disse stentoreo:“Dai buchi neri, come li chiami tu, nascono le galassie. Si aprono le botole cosmiche, così sgravano nuova vita”. Ma che diceva Scandurra? Riprendendo oggi gli appunti segreti – sono tali perché non li ho mai divulgati, sino ad ora – mi accorgo che la sapeva lunga. Me ne accorsi quando, durante una serata da amici (l'anonima talenti di Scandurra, era composta di 10/12 tra donne e uomini) in un appartamento sito a San Martino (Vt), capitò un giovane ricercatore del CNR, Massimiliano, che accompagnava la sua fidanzata fissata di spiritismo. Lui la amava e si vedeva, ma era pure la sua disperazione.
Ad un certo momento della sera, dopo una scorpacciata di broccoli impanati e fritti e fettine panate, innaffiati con vinello di Gradoli, la conversazione si spostò su di un terreno minato – temevo, in questi casi, di quello che poteva fare Scandurra. Il giovane fisico romano con la sua impostazione intellettuale, era quanto di più lontano poteva esserci dal mondo del maestro. Con una punta di sarcasmo malcelato, incominciò a negare sia quanto la sua ragazza sosteneva che tutto quello che concerneva il paranormale. “Scopo della scienza è quello di descrivere e spiegare il mondo in cui viviamo...”.
Ma prima che potesse continuare, Scandurra alzò la mano come si faceva a scuola e destata l'attenzione del giovinotto saputello, disse: “Mi piace caro ragazzo, dibattere sempre sul terreno del mio prossimo, non per sfida e presunzione. No, perché credo che ci si possa intendere meglio sul campo più vicino. La dispùta [la pronunciò accentandola sulla 'u' e questo generò una risata tra di noi, pensando che Scandurra volendo fare il figo, usava ogni tanto parole sconosciute al suo vocabolario] serve per capire meglio ciò che si crede di sapere, ascoltando il proprio interlocutaneo...”, altra grassa risata.
Il fisico, per educazione, trattenne una risata per gli sfondoni lessicali del maestro. L'atmosfera era simpatica, ci aspettavamo qualcosa di stupefacente da Scandurra. Intanto, il nostro cortese amico che ci aveva ospitato, mise un 33 giri sul piatto, la seconda facciata dell'album dei Pink Floyd, Meddle. Il brano era Echoes. Iniziava con un effetto sonar. Come in una regia teatrale, il maestro attaccò a parlare dopo poco che il suono pinkfloydiano prendesse quota. “Caro Massimiliano, se osservi un effetto cerchi di capire quale possa essere la sua causa. Con una teoria, un esperimento che lo riproduce in 'labboratorio'. Bene. A volte le teorie sembrano buone perché spiegano abbastanza, ma non sempre sono giuste. Usi dei modelli per capire l'Universo.
Modelli, si dice, vero? Poi non dite che leggo solo le bollette di gas e luce. Vedi, io non sono mai andato oltre la quinta elementare, ed è stata dura imparare le 'tabbelline', la 'grammantica', e tutte quelle altre fresche difficili. Ma ti dirò, mi sono imparato, grazie ad un maestro bravo molto, come funziona davvero l'universo. Non so se è 'scintifeco', però 'funzziona'. E te la dico tutta. L'infinità dell'universo non è niente ancora, c'è di più e di mejo”. Scandurra infilava sovente nei suoi sporadici ma proverbiali discorsi-fiume, strafalcioni e vernacolo, ogni tanto riusciva perfino a non violentare l'italiano.
L'uso di alcuni termini, concetti, era immaginifico e ben dimostrava l'assunto che si proponeva, suscitando interesse e curiosità tra di noi. Non di rado utilizzava terminologie tecniche precise, solo per addetti, da farci rimanere con un palmo di naso e allora non ridevamo più: quell'uomo era pieno di risorse, oltre ogni definizione. “Devi sapere che ce so' effetti che precedeno le cause... che un 'alettone' [intendeva 'elettrone', ma forse si riferiva Le Cronache di Atlantide - di Angelo Ciccarella 40 al quark, vallo a capire] arriva prima de partì”, Massimiliano lo interruppe. “Parla in termini di fisica quantistica?”.
Scandurra gli rispose tutto compito: “Regolare”. Noi ridacchiammo sommessi, immaginando che la fisica dei quanti esulasse dalle materie di studio del maestro. Ma quanto ci sbagliavamo. “La scienza moderna fatta dai professoroni, però qualcuno sdirazza, non ci fa conoscere il mondo com'è. Osservare una cosa non è garanzia di verità, ma soltanto quello che è secondo come lo vediamo. Ciò che vediamo non è ciò che esiste in assoluto, non è il mondo vero, ma quello apparente. Non sarà falso ma nemmeno completamente vero. È come il surrogato di cioccolata, ha un sapore che gli somiglia, ma la nutella è un'altra cosa, ma costa di più e quindi non è per tutte le tasche.
Ci siamo noi costruiti i limiti degli strumenti. Se sei miope, c'è poco da fare, ti sfuggeranno sempre i particolari di una cosa. Ci vorrebbe una lente che ti corregge la vista, ma valla a trovare. A volte l'intuito compensa il limite, ma ci facciamo poco affidamento ormai. L'apparenza inganna, si diceva una volta, ma oggi crediamo solo a quello che ci appare. La scienza, la religione, parlano di cose parziali, secondo le convenienze; difendono il loro orticello ben coltivato, ma guai a quello che vi entra e dice, 'amici, fuori di qui ci sono altri orticelli, venite che vi ci accompagno'. Vedrai che pochi lo seguiranno per vedere se dice il vero o mente. I giardinieri ufficiali diranno, 'sei gojo [matto], fuori di qui non c'è niente, lo vuoi sapere meglio di noi che abbiamo deciso quello che è vero e quello che è falso?'. Se il gojo insiste, lo accicciano [ammazzano].
Ti ricordi di Gesù, lui venne e disse una cosa incredibile sia per quel tempo che per oggi: 'tutto il fuori è dentro'. Parlava dell'abisso senza fondo dentro ogni cosa e da ogni cosa ci si può arrivare. Sai come è andata, no? lo hanno accicciato. Regolare”. Scandurra si riempì un altro bicchiere di vino e lo ingollò di un fiato, poi aspirò il sigaro cubano regalatogli da Zac. Lo si vedeva gongolare. Vino buono, sigaro ottimo, un interlocutore di livello e noi tutti a pendere dalle sue labbra. Imparai poi, che lui giocava in questi frangenti e recitava una parte, quella del guru proletario, la sua intenzione, invece, era quella di suscitare una vibrazione speciale in noi.
Aprirci all'oceano cosmico, assaporarne i gusti e inebriarsi della bellezza della Creazione. Da qualsiasi argomento, o cosa o idea, lui ci apriva all'incommensurabile. Riusciva a trasmetterci suoni visioni sensazioni magiche. Massimiliano tentò di obiettare, sostenendo che quella di Scandurra era filosofia spicciola, e comunque non aveva nulla a che vedere con la scienza, la ricerca. Scandurra sorrise. “Ti faccio vedere una cosa. È la conoscenza delle leggi dell'energia e il suo controllo. Qualcosa che è collegato al più intimo funzionamento della mente”. Prese dal tavolo un pacchetto di sigarette. Lo tenne sul palmo della sua mano per cinque o sei secondi, come se volesse pesarlo. Poi, lo riappoggiò al centro del tavolo e un secondo dopo, il pacchetto fu come inghiottito, sparì. Sentimmo tutti una leggera vibrazione. “Ecco, le sigarette sono parcheggiate in uno spazio di un altra dimensione, qui accanto. Hai assistito ad un fenomeno di confine che ti strappa di sotto i piedi il pavimento su cui poggia la scienza e sfida ogni principio che voi ponete a fondamento del sapere stesso”. Massimiliano rimase a bocca aperta e con gli occhi sbarrati. Scandurra lo aveva sconvolto.
Ma non era finita lì. Riaprì il palmo della sua mano e, due secondi dopo, il pacchetto delle sigarette ricomparve al centro del tavolo. O meglio, fu espulso dal tavolo. Andammo a toccare il punto dell'apparizione, per sentire se fosse caldo freddo molle. Ci passammo il pacchetto, per tentare di verificare il suo stato, le eventuali variazioni. Niente di strano se non un leggero calore. “Stabilisco io la linea di confine tra questo e un altro universo. Una parete, un tavolo, una finestra. Il pozzo del giardino o il retrobottega. Tutto è tangente. Basta entrare dentro le cose e ogni cosa entra dentro di te. Ammazzate come sono approfondito stasera...”. Scoppiò a ridere e ci fece sobbalzare tutti da quello stato speciale di coscienza, tipico di quando ci si avvicina alla linea di confine. “Caro Massimiliano quando la vita ti farà visita, tante certezze spariranno. Per ora hai una bella ragazza che ti ama, hai il tuo studio e la tua scienza. Domani ti auguro di trovare anche un senso a tutto questo. La sapienza non bazzica le università, né le stanze dei potenti. È come il vento, non sai dove nasce e quando lo senti, è già passato. Io ho scoperto da dove viene ed è meglio che lo sappiano in pochi. Ho messo le mani tremando su potenze nascoste, per captarle ed indossarle”. Il giovane scienziato rimase in silenzio, abbassò gli occhi. Ebbe un leggero tremore. Non saprei dire cosa gli successe. Poi guardò il suo orologio e ci salutò; la sua ragazza andò via con lui. Lei ci fece sapere in seguito, che Massimiliano era convinto di essere stato ingannato da un trucco da prestigiatore e noi eravamo stati degni compari di un imbroglione. L'esperimento del maestro fu spettacolare e semplice: rendeva ordinario lo straordinario. Uno di noi, frattanto, era alle prese con la nutrita collezione di long playing. Scandurra chiese se c'era un disco di Califano, al ché ci fu un mormorio di ilarità. Il nostro ospite, si scusò, ma non ascoltava quel genere musicale. West coast, rock psichedelico, jazz, si trovavano ben assortiti nella sua discoteca, insomma altra musica. Scandurra con il suo ghigno diabolico prese la parola: “Tutto il resto è noia, prima di questa frase metteteci un'idea, una cosa che valga la pena su tutto il resto. È filosofia, è scienza, è vita. Franco ha centrato il problema dell'uomo. Se non siamo capaci di scoprire cosa conta davvero, l'unica cosa che per noi è importante, saremo sommersi dal nulla, la noia.
Persino il sesso che tanto ci ossessiona, l'amore che sembra finire troppo presto, persino una cosa bella, poi, termina o, peggio, diventa abitudine”. Un concetto filosofico da una canzone di quel tipo un po' volgarotto, sbracato, quel gigolò dei poveri. Scandurra ci voleva provocare. Giocava. “Dovete crescere e provare la vita, scontrarvi con essa. La maledirete per le dure prove e vi ci aggrapperete quando fuggirà. La rinnegherete se qualcuno vi tradirà e la tradirete mille volte per vigliaccheria. Quando la sentirete passare tra le dita, quando ve ne rimarrà poca, vi odierete per averla sprecata con le stronzate. Da questo mondo spariamo troppo presto, per non viverlo con dignità e benevolenza, bevendo ogni goccia di esperienza, alzando più spesso possibile gli occhi al cielo. Fate una bella corsa quando incontrate un sentiero di campagna, anche se la panza vi pesa, ubriacatevi di alberi, di terra, di fiori. La libertà, amici, la libertà è troppo preziosa per farcela restituire a rate da qualcuno. Prendetevela tutta, subito. I nostri vecchi che di vita ne hanno consumata, eccome, hanno bisogno di chi la vita la deve vivere tutta, non dimenticateli. È vita pure quando una donna rifiuta il vostro amore, perché vi renderete conto che il desiderio a volte vi inganna, anche se lo scambiavate per passione sublime. È vita quando tutto vi va bene e non sapete perché, ma è vita pure quando tutto vi crolla addosso e puntate il dito contro tutti e contro Dio. E non capite perché la felicità scappa sempre via, perché i bastardi la sfangano e le brave persone ci rimettono sempre. Imparare è cambiare. Ecco, avete un'occasione per imparare cos'è la vita, e se farete tesoro delle esperienze confinarie, vivrete meglio i giorni che vi resteranno da vivere nel conosciuto. Perché a quel punto saprete che viviamo in tanti frammenti che dovranno, prima o poi, ricongiungersi”.
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