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SALARI AMARI, ANZI AMARISSIMI

SALARI AMARI, ANZI AMARISSIMI

di Bruno Chiavazzo

Mentre il governo si dibatte nella manfrina del Mes o non Mes, l'opposizione, o presunta tale, sul salario minimo e i sindacati su sciopero sì e sciopero no (alla fine vince sempre il sì, soprattutto quando proclamati di venerdì), i salari reali in Italia tra il 1991 e il 2022 sono rimasti sostanzialmente al palo con una crescita dell'1% a fronte del 32,5% in media registrato nell'area Ocse. Sono dati certificati dall'Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche). 

La distribuzione funzionale del reddito, il cui andamento storico in Italia mostra una caduta crescente della quota dei salari sul Pil e una crescente quota dei profitti, si è ormai stabilizzata su valori (rispettivamente del 40% e del 60%) che configurano un modello di crescita "wage led", come la definiscono gli economisti. In altre parole un regime di accumulazione trainato dai profitti e non dai salari. La contrattazione collettiva, autentico totem del sindacato, non è stata capace di garantire tra il 1991 e il 2022 quella crescita dei salari reali che nella media dei paesi Ocse ha raggiunto il 32,5%, mentre il Italia si è fermata all'1%.

In pratica, se si tiene conto dell'inflazione, il potere d'acquisto dei salari è diminuito in modo esponenziale. Eppure, la stessa "sinistra" che oggi si straccia le vesti è stata al governo negli ultimi 12 anni e, stando ai dati, non risulta che abbia migliorato i salari e i diritti dei lavoratori. Anche la propaganda del governo Meloni che parla di un boom dei posti di lavoro e di nuove assunzioni è un bluff. Il rapporto Inapp 2023 racconta, al di là della propaganda governativa, un mercato del lavoro frenato dai suoi problemi strutturali, e che porta gli italiani a essere tra i più insoddisfatti d’Europa, non solo per i bassi stipendi, ma anche tra i meno tutelati, visto che in caso di una nuova crisi ben quattro milioni di occupati resterebbero senza paracadute; niente ammortizzatori sociali o indennità di disoccupazione.

Ecco spiegato, analiticamente, perchè la Meloni cerca di spostare l'attenzione sul Mes o sul premierato. La paura che la stessa gente che l'ha incoronata alle ultime elezioni politiche, se colpita ancora nelle tasche da misure ulteriormente punitive, possa cambiare umore e il segno sul partito della scheda elettorale.

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