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IL DIRITTO DI SCIOPERO E I DIRITTI DEGLI UTENTI

IL DIRITTO DI SCIOPERO E I DIRITTI DEGLI UTENTI

di Giuseppe Augieri

Mi sono sempre interrogato se fosse giusto il danno, specie se abnorme, provocato da uno sciopero dei servizi essenziali alla collettività. A fine del 1990, da Segretario Generale UILSP, fui tra chi “spinse” qualche riottoso nel mio Sindacato, nella FNLE-CGIL e nella FLAEI-CISL (sindacati degli elettrici, ma anche dei lavoratori gas ed acqua) a firmare – e fummo tra i primi – l’accordo sulla legge 146/1990.
Fresco anche di un qualche “indiretto” rapporto, di cui mi onoro, con Gino Giugni, lo feci con grande convinzione. La mia tesi era che i servizi pubblici essenziali avevano come riferimento l’intera popolazione e non solo il datore di lavoro. Che, tra l’altro, in quegli anni era lo Stato; e dunque colpiva la collettività, se la vertenza interessava gli aspetti economici, poiché sarebbe stata la collettività a pagarne le conclusioni.
Ma, al fondo del mio ragionamento, riguardante soprattutto i servizi pubblici, oltre alle considerazioni che aveva portato Pietro Calamandrei a sostenere che lo sciopero - più e prima che uno strumento di rivendicazione - è «un mezzo per la promozione dell'effettiva partecipazione dei lavoratori alla trasformazione dei rapporti economico-sociali», c’era anche la considerazione che la ratio della legge 146 era “quella di tutelare i diritti della persona umana e non già quella di garantire l’esercizio di sciopero”. La legge era limitativa delle modalità di esercizio di sciopero, non del diritto. Non avevo perplessità: la mia scuola di pensiero mi ricordava che “il diritto è, per sua natura, prefisissione di limiti”. Quelli stessi indicati nell’articolo 40 della Costituzione. Che non si è voluto mai applicare portando a realizzare le regole sullo sciopero solo attraverso la giurisprudenza. Un “accidente” della corretta democrazia non solo per la sostituzione di poteri che esso presuppone, ma anche perché la magistratura interviene ex post e mai ex ante. Dunque a danno già fatto.
Questa ultima considerazione, più di altre, mi induceva a riflettere. All’epoca il problema più serio sembrava essere quello legato ai trasporti pubblici per il danno provocato alla collettività - ed all’interesse nazionale - da scioperi che spesso seguivano le più svariate modalità definite con termini “pittoreschi” (a singhiozzo, a gatto selvaggio, bianco, a scacchiera, articolati ….). Disagi notevoli: e tuttavia la mia esperienza mi diceva che il vero pericolo non era nei trasporti ma veniva proprio dal settore nel quale operava il mio sindacato.
Cosa sarebbe successo se ci fosse stata un’astensione dal lavoro degli addetti alla distribuzione del gas, visto il pericolo immenso che una errata presenza di aria nel gas può provocare? E il rischio – ma in realtà certezza – di blackout se gli addetti alle centrali (all’epoca soprattutto quelle atomiche) si fossero assentati, pur mettendo - prima - in sicurezza gli impianti? Il disastro economico che ne sarebbe scaturito?. Qualcuno ricorda cosa è successo il 28 settembre 2003 e quanto ci è costato? Dunque un ragionamento sugli effetti economici di uno sciopero andava fatto.
Oggi la legge esiste. Ma è applicata con qualche approssimazione. L’esigenza di suo ammodernamento c’è. Non c’è solo Industria 2.0: c’è anche Sindacato 2.0 da tenere alla vista. E c’è l’esigenza di una autoregolamentazione interna al Sindacato stesso. Il problema era e resta il contemperamento, cosa diversa dalla compatibilità. Da sviluppare senza sollecitazioni di nessun genere. Prima di azioni politiche contrarie alle modalità proclamate: ricorrere poi al giudice, al di là della possibile sentenza sfavorevole, è una sconfitta di per se. Oggi, la strada imboccata dalla ripresa economica, che si avvale di uno sviluppo eccezionale del turismo(+ 43%), ripropone la centralità della gestione degli scioperi non solo nel settore ma anche nei servizi di trasporto. Qui il datore di lavoro ora è privato e non più lo Stato (i commenti su questo li lasciamo ad altra occasione) ma la ratio di una gestione attenta delle modalità di sciopero non è cambiata. Il turismo vale l’8% del PIL in linea diretta ed il 13% in linea indiretta. Mettere in forse questa direttrice di marcia non è meno grave di un insuccesso sui fondi del PNRR.
Credo che una riflessione sui fatti di questi giorni sia opportuna. Forse necessaria.
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