Mi sembrano essersi chiarite, almeno per me, alcune questioni dubbie.
La prima: Hamas ha vinto. Per i terroristi l’importante era vincere la guerra mediatica e l’hanno vinta. Quella fisica sapeva di non poterla vincere: ma boicottare una possibile pace araba si. Senza nulla togliere all’orrore delle stragi che gli israeliani hanno compiuto, ci si dimentica che è bastato ai terroristi mettere sul piatto della bilancia le vite di due milioni di persone da sacrificare scientificamente (niente rifugi antiaerei per loro, armi e basi di attacco sotto edifici civili, tattiche di combattimento “esci dal tunnel-attacca- rientra nel tunnel” che lasciavano i civili esposti ai combattimenti) per realizzare quei massacri così apertamente invocati dai loro capi e mettere ipoteche su ogni dialogo nella regione. La riprova dell’obiettivo finale sta nel fatto che il piano di pace americano ha ricevuto il consenso di tutti gli stati arabi per riprendere il cammino degli “accordi di Abramo” interrotto. Tutti tranne le forze che fanno della guerra e del martirio la loro bussola: Iran, Hamas, Hezbollah, Jihad, Houthi e bande varie del radicalismo islamico che hanno come obiettivo la distruzione di Israele e la guerra all’occidente. Le reazioni umanitarie? Chiamarle “trappole”, come pure è stato detto, è profondamente ingiusto: ma erano nei piani di Hamas e suoi finanziatori sin dall’inizio. Detto esplicitamente da Hamas. E con la speranza che si arrivasse ad alcune esasperazioni che coprissero la realtà. Dalla Turchia è partita una nuova flottilia. Dalla Turchia? Da un regime certo meno sanguinario ma non meno esecrabile? Da un nemico storico di Israele? Da uno dei finanziatori dell’opposizione a Israele? E anche questo passa per “reazione umanitaria”? Come si fa a strumentalizzare la tanta buona fede di tanti?
La seconda: le reazioni popolari hanno tratti di rivolta, che considero inaccettabile, ma dal significato politico chiaro e dalle conseguenze politiche altrettanto evidenti. Si delinea la linea delle opposizioni: lo scontro, a livello di piazza, succeda quel che deve succedere. Senza fare inutili filosofie: è la confessione esplicita di una debolezza sconvolgente, della incapacità - verificata da appuntamenti elettorali e sondaggi - di proporre alternative credibili. Una sconfitta, senza se e ma.
Esce sconfitto ancor più il Sindacato Confederale. Una saldatura tra forze del lavoro e studenti significa che è stato «intercettato un popolo trasversale» come titola “Avvenire”. Ma questo è dovuto prioritariamente ai sindacati di base. La CGIL ha cercato, goffamente, di recuperare: ma solo sui titoli dell’informazione. Nei fatti, il modello di sindacato USB e COBAS, senza strutture gerarchiche - o almeno così avvertito, presente sui posti di lavoro più del sindacato confederale, con un programma per me sbagliato ma comunque semplice e comprensibile di azione, ha costruito negli ultimi anni un radicamento che viene apprezzato. E si vede.
Le due mie considerazioni poi si fondono in un’unica riflessione. Riporto da “Avvenire”: «alla maggior parte di chi scende in strada per “bloccare tutto” la politica interessa poco o nulla. Partecipare è un dovere, certo, ma la via delle piazze per adesso è più immediata di quella delle urne». Concordo. Ma vedo monca la riflessione che va invece completata per apprezzare cosa sta succedendo.
Se l’opposizione è in piazza e la piazza diventa l'alternativa alle urne, temo, come ho già detto, che la risposta della maggioranza potrebbe prendere la stessa strada. Quasi forzatamente. Se le armi dell’opposizione sono le saldature tra le istanze più ideologizzate, non vedo alcun futuro di alternative: al più ci sarebbe un’alternanza di potere: e non è assolutamente la stessa cosa. Se lo strumento utilizzato per questa politica è il sindacato, ma quello di base la cui idealità è rappresentata dal fatto che è iscritto all' USB anche Cremaschi, non vedo nel futuro affermarsi proteste pacifiche.
E non vedo futuro per l’Italia.