50 miliardi di dollari, decine di migliaia di morti, 25 milioni di tonnellate di macerie. Sono le mostruose cifre prodotte dall’avventura militare di Israele all’indomani del più sanguinoso pogrom dai tempi del Babij Jar ucraino.
E tutto questo per cosa? Per vedere Hamas riprendersi la sovranità nella Striscia in poche ore e processare in piazza alcuni oppositori, ovviamente nel rispetto di ogni garanzia di carattere procedurale: fucilati alla schiena, come si faceva con i traditori.
C’è da rimanere quanto meno perplessi di fronte a una campagna militare che è difficile non considerare un fallimento. E’ pur vero che la tecnica di Hamas di nascondersi in quella personale immensa metropolitana costruita con i fondi internazionali, di certo non ha aiutato. Ma Israele sta facendo i conti con una realtà amara e al tempo stesso innegabile: a Gaza i giovani aderiscono ad Hamas con la stessa facilità, ma con molto più entusiasmo, di chi da noi si iscrive a un circolo Arci.
In una simile location, che fine farà il piano Trump non è difficile da prevedere. Non avendo la minima intenzione di aderirvi laddove impone il suo totale disarmo, Hamas renderà la vita durissima a chiunque vorrà sfidarla nella più ostica delle imprese: espugnare Gaza City. Risultato conseguibile, ma al prezzo di migliaia di vite umane, che al momento Israele non ha alcuna intenzione di pagare.
Ma anche se un giorno, che nemmeno le previsioni più rosee considerano imminente, Israele dovesse riuscire a imporsi militarmente, avrebbe compiuto soltanto il primo passo. Perché Israele non potrà limitarsi a uccidere Hamas, ma dovrà anche cancellare il mito di Hamas.
Un mito alimentato fin dall’infanzia. A leggere i programmi in vigore nelle scuole di Gaza, c’è da rimanere sconcertati. Ai bambini di otto anni si assegnano esercizi come «Inserisci il pronome corretto: essi/egli/ella è il comandante delle forze islamiche per la conquista di Gerusalemme», o si fa loro imparare a memoria frasi come «Gli ebrei sono i nemici del Profeta e dei credenti», e «La Palestina è la nostra terra intrisa del sangue dei Martiri», e anche «Il risultato finale e inesorabile sarà la vittoria dei musulmani sugli ebrei».
A quelli di undici anni si chiede di trovare soggetto e complemento in «La Jihad è un dovere per tutti i musulmani», di commentare la frase «Desidera la morte da martire e riceverai la vita», o di «Descrivere gli sforzi di Saladino per liberare Gerusalemme dai Crociati», oppure di «Comporre frasi contenenti la seguente espressione: il pericolo sionista genera la Jihad», oppure «Spiegare perché gli ebrei sono sleali e traditori», e anche «Per ogni musulmano il martirio è la più alta forma di nobiltà» e che «Martirio è vita».
E se la geografia insegnata in quelle scuole ignora Israele, e la lista delle regioni palestinesi include città situate nel suo cuore come Tel Aviv, Haifa, Beer-Sheva, Jaffa, c’è poco da stare allegri.
La priorità sarà sradicare un odio che alberga persino nei bambini. Se tutto funzionerà, assisteremo ad un conflitto generazionale che vedrà i giovani di Gaza dare del vecchio rincoglionito a chiunque continuerà a predicare la distruzione di Israele. Ma ci vorranno decenni per arrivare a questo, dopo aver nuotato in un mare di sangue.