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ARTICOLI DEL DIRETTORE

LA FILOSOFIA DEL FILATOIO AL FONDACO DEL SALE

LA FILOSOFIA DEL FILATOIO AL FONDACO DEL SALE

Lettura eccezionale delle fiabe dei fratelli Grimm quella offerta da Marco Amico nel Fondaco del Sale, in Città Alta a Bergamo. Con lui Martina Brignoli e Marilisa Barcella a tenere il pubblico avvinto da colpi di scena impensabili in un contesto di approfondimenti storici e filologici che ricostruiscono i fondamenti delle fiabe.

Fiabe

Hänsel e Gretel e i Bambini di Hamelin, due delle fiabe più note dei fratelli Grimm, sono presentate nelle versioni originali, depurate dalle manipolazioni e dalle interpolazioni successive consentendo un approccio simbolico autentico.

La fiaba, scrive Marie Louise von Franz, “potrebbe essere equiparata ad un cadavere, di cui rappresenta lo scheletro e le ossa, cioè la parte indistruttibile, il nucleo fondamentale, eterno. Essa riflette nel modo più semplice la struttura archetipica fondamentale”. [i]

Lascio a chi assisterà alle prossime letture di lasciarsi sorprendere dai colpi di scena, per focalizzare l’attenzione sugli aspetti simbolici e archetipici che attingono al fondamento universale umano.

Fino al diciottesimo secolo le fiabe erano raccontate sia ai bambini, sia agli adulti e costituivano quella che Marie Louise von Franz chiamò la “filosofia del filatoio”, perché le fiabe si raccontavano mentre le donne filavano.

Costellare un archetipo, secondo Jung, è renderlo disponibile alla coscienza che si allarga ad accogliere i contenuti dell’inconscio collettivo. Ogni volta che un archetipo è costellato diventa il nucleo diventa il nucleo attivo di un modo di pensare la realtà.

L’operazione di Marco Amico costella archetipi che consentono, in una lettura rivolta agli adulti, di traslare gli aspetti psicologici in un orizzonte sociologico.

Le fiabe, messe da parte da una cultura razionalista, come scrive Bruno Bettelheim, “recano importanti messaggi alla mente conscia, preconscia e subconscia”[ii] e l’averle proposte in una lettura teatrale ha l’indubbio merito di riproporre, ad un pubblico di adulti, il valore psicologico educativo dei bambini in un periodo temporale, come l’attuale, che, pervaso da razionalità materialista, ne disconosce il valore fondamentale.  

“Dickens – ci ricorda Bettelheim – comprese come la ricchezza di immagini delle fiabe aiuta i bambini meglio di qualunque altra cosa nel loro più difficile eppure più importante e soddisfacente compito: quello di raggiungere una coscienza più matura per civilizzare le pressioni caotiche dell’inconscio”. [iii]

“È generalmente riconosciuto – aggiunge Bettelheim  - che i miti e le fiabe ci parlano nel linguaggio dei simboli che rappresentano un contenuto inconscio. Essi fanno appello contemporaneamente alla nostra mente conscia e inconscia, a tutti e tre i suoi aspetti – Es, Io, Super-Io – nonché al nostro bisogno di ideali dell’Io. Ecco il perché della loro efficacia. Nel contenuto delle fiabe vengono espressi in forma simbolica fenomeni psicologici interiori”. [iv]

Tutte le fiabe, ci avverte Marie Louise von Franz, sono “l’espressione più pura e semplice dei processi psichici dell’inconscio collettivo” e ogni fiaba ci consegna “un solo significato psicologico essenziale, che si esprime in una serie di immagini ed eventi simbolici”, ma tutte le fiabe mirano a descrivere un solo evento psichico, difficilmente riconoscibile in tutti i suoi aspetti. “Questo fattore sconosciuto – chiarisce Marie Louise von Franz- è ciò che Jung definisce il Sé. Esso costituisce la totalità psichica dell’individuo, ma anche, paradossalmente, il centro regolatore dell’inconscio collettivo”. [v]

Nell’inconscio tutti gli archetipi si contaminano a vicenda ed è con queste necessarie premesse introduttive che possiamo tentare di penetrare il messaggio che le due letture proposte da Marco Amico ci trasmettono.

Vediamo cosa ci racconta la versione più prossima all’originale della fiaba Hänsel e Gretel.

La fiaba di Hänsel e Gretel

Hansel e gretel

Davanti a un gran bosco abitava un povero taglialegna che non aveva di che sfamarsi; riusciva a stento a procurare il pane per sua moglie e i suoi due bambini: Hänsel e Gretel. Infine giunse un tempo in cui non poté più provvedere neanche a questo e non sapeva più a che santo votarsi. Una sera, mentre si voltava inquieto nel letto, la moglie gli disse: "Ascolta marito mio, domattina all'alba prendi i due bambini, dai a ciascuno un pezzetto di pane e conducili fuori in mezzo al bosco, nel punto dov'è più fitto; accendi loro un fuoco, poi vai via e lasciali soli laggiù. Non possiamo nutrirli più a lungo." - "No, moglie mia" disse l'uomo "non ho cuore di abbandonare i miei cari bambini nel bosco, le bestie feroci li sbranerebbero subito." - "Se non lo fai," disse la donna, "moriremo tutti quanti di fame." E non lo lasciò in pace finché egli non acconsentì.

Anche i due bambini non potevano dormire per la fame, e avevano sentito quello che la madre aveva detto al padre. Gretel pensò che per loro fosse finita e incominciò a piangere amaramente, ma Hänsel disse: "Stai zitta Gretel, non ti crucciare, ci penserò io." Si alzò, si mise la giacchettina, aprì l'uscio da basso e sgattaiolò fuori. La luna splendeva chiara e i ciottoli bianchi rilucevano come monete nuove di zecca. Hänsel si chinò, ne ficcò nella taschina della giacca quanti poté farne entrare e se ne tornò a casa. "Consolati Gretel e riposa tranquilla," disse; si rimise di nuovo a letto e si addormentò.

Allo spuntar del giorno, ancor prima che sorgesse il sole, la madre venne e li svegliò entrambi: "Alzatevi bambini, vogliamo andare nel bosco; qui c'è un pezzetto di pane per ciascuno di voi, ma siate saggi e conservatelo per mezzogiorno." Gretel mise il pane sotto il grembiule perché Hänsel aveva le pietre in tasca, poi si incamminarono verso il bosco. Quando ebbero fatto un pezzetto di strada: Hänsel si fermò e si volse a guardare la casa; così fece per più volte. Il padre disse: "Hänsel, che cos'è che ti volti a guardare e perché ti fermi? Su, muoviti!" - "Ah, babbo, guardo il mio gattino bianco che è sul tetto e vuole dirmi addio." Disse la madre: "Ehi, sciocco, non è il tuo gattino, è il primo sole che brilla sul comignolo." Hänsel però non aveva guardato il gattino, ma aveva buttato ogni volta sulla strada uno dei sassolini lucidi che aveva in tasca.

Quando giunsero in mezzo al bosco, il padre disse: "Ora raccogliete legna, bambini, voglio accendere un fuoco per non gelare." Hänsel e Gretel raccolsero rami secchi e ne fecero un mucchietto. Poi accesero il fuoco e quando la fiamma si levò alta, la madre disse: "Adesso stendetevi accanto al fuoco e dormite, noi andiamo a spaccare legna nel bosco; aspettate fino a quando non torniamo a prendervi."

Hänsel e Gretel rimasero accanto al fuoco fino a mezzogiorno, poi ciascuno mangiò il proprio pezzetto di pane. Credevano che il padre fosse ancora nel bosco perché udivano i colpi d'accetta; invece era un ramo che egli aveva legato a un albero e che il vento sbatteva di qua e di là. Così attesero fino a sera, ma il padre e la madre non tornavano e nessuno veniva a prenderli. Quando fu notte fonda Gretel incominciò a piangere, ma Hänsel disse: "Aspetta soltanto un poco, finché sorga la luna." E quando la luna sorse, prese Gretel per mano; i ciottoli brillavano come monete nuove di zecca e indicavano loro il cammino. Camminarono tutta la notte e quando fu mattina giunsero alla casa patema. Il padre si rallegrò di cuore quando vide i suoi bambini, poiché gli era dispiaciuto doverli lasciare soli; la madre finse anch'essa di rallegrarsi, ma segretamente ne era furiosa.

Non passò molto tempo e il pane tornò a mancare in casa e Hänsel e Gretel udirono una sera la madre che diceva al padre: "Una volta i bambini hanno ritrovato il cammino e io ho lasciato correre: ma adesso non c'è di nuovo più niente, rimane solo una mezza pagnotta in casa; devi condurli domani più addentro nel bosco, perché non ritrovino la strada: per noi non c'è altro rimedio." L'uomo si sentì stringere il cuore e pensò: "Sarebbe meglio se dividessi l'ultimo boccone con i tuoi bambini." Ma siccome aveva già ceduto una volta, non poté dire di no.

Quando i bambini ebbero udito quel discorso, Hänsel si alzò per raccogliere di nuovo i ciottoli, ma quando giunse alla porta, la madre l'aveva chiusa. Tuttavia consolò Gretel e disse: "Dormi, cara Gretel, il buon Dio ci aiuterà."

Allo spuntar del giorno ebbero il loro pezzetto di pane, ancora più piccolo della volta precedente. Per strada Hänsel lo sbriciolò in tasca; si fermava sovente e gettava una briciola per terra. "Perché ti fermi sempre, Hänsel, e ti guardi intorno?" disse il padre. "Cammina!" - "Ah! Guardo il mio piccioncino che è sul tetto e vuole dirmi addio." - "Sciocco," disse la madre, "non è il tuo piccione, è il primo sole che brilla sul comignolo." Ma Hänsel sbriciolò tutto il suo pane e gettò le briciole per via.

La madre li condusse ancora più addentro nel bosco, dove non erano mai stati in vita loro. Là dovevano di nuovo sedere accanto al fuoco e dormire e alla sera i genitori sarebbero venuti a prenderli. A mezzogiorno Gretel divise il proprio pane con Hänsel, che aveva sparso tutto il suo per via. Ma passò mezzogiorno e passò anche la sera senza che nessuno venisse dai poveri bambini. Hänsel consolò Gretel e disse: "Aspetta che sorga la luna: allora vedrò le briciole di pane che ho sparso; ci mostreranno la via di casa." La luna sorse, ma quando Hänsel cercò le briciole non le trovò: i mille e mille uccellini del bosco le avevano viste e le avevano beccate. Hänsel pensava di trovare ugualmente la via di casa e si portava dietro Gretel, ma ben presto si persero nel grande bosco; camminarono tutta la notte e tutto il giorno, poi si addormentarono per la gran stanchezza. Poi camminarono ancora tutta una giornata, ma non riuscirono a uscire dal bosco, e avevano tanta fame, perché non avevano nient'altro da mangiare che un po' di bacche trovate per terra.

Il terzo giorno, quand'ebbero camminato fino a mezzogiorno, giunsero a una casina fatta di pane e ricoperta di focaccia, con le finestre di zucchero trasparente. "Ci siederemo qui e mangeremo a sazietà," disse Hänsel. "Io mangerò un pezzo di tetto; tu, Gretel, mangia un pezzo di finestra: è dolce." Quando Gretel incominciò a rosicchiare lo zucchero, una voce sottile gridò dall'interno:"Chi mi mangia la casina zuccherosa e sopraffina?"

I bambini risposero: "È il vento che piega ogni stelo,il bel bambino venuto dal cielo."

E continuarono a mangiare. Gretel tirò fuori tutto un vetro rotondo e Hänsel staccò un enorme pezzo di focaccia dal tetto. Ma d'un tratto la porta della casa si aprì e una vecchia decrepita venne fuori piano piano. Hänsel e Gretel si spaventarono tanto che lasciarono cadere quello che avevano in mano. Ma la vecchia scosse il capo e disse: "Ah, cari bambini, come siete giunti fin qui? Venite dentro con me, siete i benvenuti." Prese entrambi per mano e li condusse nella sua casetta. Fu loro servita una buona cena, latte e frittelle, mele e noci; poi furono preparati due bei lettini bianchi, e Hänsel e Gretel si coricarono e pensavano di essere in Paradiso.

Ma la vecchia era una strega cattiva che attendeva con impazienza l'arrivo dei bambini e, per attirarli, aveva costruito la casetta di pane. Quando un bambino cadeva nelle sue mani, lo uccideva, lo cucinava e lo mangiava; e per lei quello era un giorno di festa. Era proprio felice che Hänsel e Gretel fossero capitati lì. Di buon mattino, prima che i bambini fossero svegli, ella si alzò, andò ai loro lettini, e quando li vide riposare così dolcemente, si rallegrò e mormorò fra sé: "Saranno un buon bocconcino per me!" Poi afferrò Hänsel e lo rinchiuse in una stia. Quando questi si svegliò, si trovò circondato da una grata, come un pollo da ingrassare, e poteva fare solo pochi passi. Poi la vecchia svegliò Gretel con uno scossone e le gridò: "Alzati, poltrona, prendi dell'acqua e vai in cucina a preparare qualcosa di buono; tuo fratello è là nella stia e voglio ingrassarlo per poi mangiarmelo; tu devi dargli da mangiare." Gretel si spaventò e pianse, ma dovette fare quello che voleva la strega.

Ora ad Hänsel venivano cucinati ogni giorno i cibi più squisiti, poiché doveva ingrassare; Gretel invece non riceveva altro che gusci di gambero. Ogni giorno la vecchia veniva e diceva: "Hänsel, sporgi le dita, che senta se presto sarai grasso." Ma Hänsel le sporgeva sempre un ossicino ed ella si meravigliava che non volesse proprio ingrassare. Dopo quattro settimane, una sera disse a Gretel: "Vai a prendere dell'acqua, svelta; grasso o magro che sia, domani ammazzerò il tuo fratellino e lo cucinerò; nel frattempo mi metterò a impastare il pane da cuocere nel forno." Con il cuore grosso, Gretel portò l'acqua nella quale doveva essere cucinato Hänsel. Dovette poi alzarsi di buon mattino, accendere il fuoco e appendere il paiolo pieno d'acqua. "Ora fa' attenzione," disse la strega. "Accendo il fuoco nel forno per cuocere il pane." Gretel era in cucina e piangeva a calde lacrime mentre pensava: "Ci avessero divorato le bestie feroci nel bosco! Almeno saremmo morti insieme senza dover sopportare questa pena, e io non dovrei far bollire l'acqua che deve servire per la morte di mio fratello. Buon Dio, aiuta noi, miseri bambini!"

La vecchia gridò: "Gretel, vieni subito qui al forno!" e quando Gretel arrivò, disse: "Dai un'occhiata dentro se il pane è ben cotto e dorato; i miei occhi sono deboli e io non arrivo a vedere fin là. E se anche tu non ci riesci, siediti sull'asse: ti spingerò dentro, così potrai controllare meglio." Ma la perfida strega aveva chiamato Gretel perché‚ pensava, una volta spintala dentro al forno, di chiuderlo e di farla arrostire per mangiarsi pure lei. Ma Dio ispirò alla fanciulla un'idea, ed ella disse: "Non so proprio come fare, fammi vedere tu per prima: siediti sull'asse e io ti spingerò dentro." La vecchia si sedette e, siccome era leggera, Gretel poté spingerla dentro, il più in fondo possibile; poi chiuse in fretta la porta e mise il paletto di ferro. Allora la vecchia incominciò a gridare e a lamentarsi nel forno bollente, ma Gretel scappò via, ed ella dovette bruciare miseramente.

Gretel corse da Hänsel, gli aprì la porticina e gridò: "Salta fuori, Hänsel, siamo liberi!" Allora Hänsel saltò fuori, come un uccello quando gli aprono la gabbia.

Ed essi piansero di gioia e si baciarono. Tutta la casetta era piena di perle e di pietre preziose: essi se ne riempirono le tasche e se ne andarono in cerca della via che li riconducesse a casa. Ma giunsero a un gran fiume che non erano in grado di attraversare. Allora la sorellina vide un'anatrina bianca nuotare di qua e di là.

E le gridò: "Ah,cara anatrina, prendici sul tuo dorso."

Udite queste parole, l'anatrina si avvicinò nuotando e trasportò prima Gretel e poi Hänsel dall'altra parte del fiume. Dopo breve tempo ritrovarono la loro casa: il padre si rallegrò di cuore quando li rivide, poiché non aveva più avuto un giorno di felicità da quando i suoi bambini non c'erano più. La madre invece era morta. I bambini avevano portato ricchezze a sufficienza così non ebbero più bisogno di procurarsi il necessario per vivere.

La fiaba simboleggia il percorso di crescita e conquista dell'autonomia dei bambini, che devono superare le paure dell'abbandono e le regressioni infantili per affermarsi come individui.

La strega rappresenta le paure infantili e il "lato oscuro" da affrontare, mentre la casetta di pan di zucchero è un simbolo di tentazione e di falso nutrimento emotivo da cui liberarsi.

I fratelli, affrontando e sconfiggendo la strega, dimostrano di essere diventati capaci di usare le proprie risorse, di prendersi cura l'uno dell'altro e di ritrovare un nuovo equilibrio e un tesoro dentro sé, ossia il Sé, il centro del sistema di autoregolazione della psiche dal quale dipende l’equilibrio dell’individuo. Il Sé, in altre accezioni, è il daimon o il nucleo essenziale del nostro essere (sostantivo) umani (predicato).

Il bosco rappresenta l’inconscio, un luogo oscuro e sconosciuto che bisogna attraversare per crescere e integrare le parti di sé e l’abbandono nel bosco da parte dei genitori simboleggia la perdita del "nido" familiare e la paura di essere soli e indifesi. 

Quando Dante nel mezzo del cammin della sua vita si avventura in una selva oscura, avendo smarrita la via, incontra animali feroci, ma nella sua discesa nell’inconscio trova ad aspettarlo una guida, la saggezza della Tradizione, Virgilio.

Virgilio rimprovera Dante perché sta scivolando verso il male della selva, mentre dovrebbe scalare il colle che è principio di felicità. Dante risponde a sua volta con ammirazione, dicendo a Virgilio che lui è il più grande poeta mai vissuto e dichiarando che è il suo maestro e modello di stile poetico.

Quello di Dante è un viaggio iniziatico, che il poeta compie conoscendo il linguaggio degli archetipi e dei simboli. Lui, assonnato, ossia non ancora iniziato ai misteri, cammina smarrito.

Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.          

Con l’aiuto di Virgilio e di Beatrice (la Tradizione e la Luce beatrice) Dante scenderà nell’inconscio e risalirà lungo il percorso dell’integrazione fino a trovare il suo Sé nell’immensità del Sé, il suo Ātman nel Brahman.

Anche quello dei bambini è un viaggio iniziatico, che compiono, a differenza del poeta, inconsapevolmente, tentando di regredire, dopo essere stati abbandonati nella foresta, nella casa sicura dei genitori o di riprodurla mangiando la casa pan di zenzero, casa dolce e invitante che rappresenta il bisogno di nutrimento, ma anche la seduzione di forme di dipendenza o di gratificazione che possono ostacolare la crescita. 

Per ben due volte i due bambini non riconoscono il Sé, il “primo sole” che brilla sul comignolo, in quanto sono impegnati a garantirsi la regressione.

I bambini non hanno una guida. Devono crescere affrontando la vita. Il loro viaggio iniziatico è la vita stessa.

La strega simboleggia le paure, i desideri oscuri e le pulsioni distruttive (come il desiderio di divorare) che si annidano dentro di noi. La sua sconfitta rappresenta il superamento e la liberazione da queste angosce. 

Attraverso le prove che affrontano, i due bimbi mettono in atto le loro energie psichiche per sviluppare la propria personalità e trovare soluzioni ai problemi, diventando più maturi. Affrontando e superando la strega, i bambini raggiungono un senso di individuazione e diventano padroni di sé, capaci di ritrovare il "tesoro" del Sé e di riparare il rapporto con il padre. 

In questo percorso il legame tra i due fratelli è una forza fondamentale che permette loro di superare le difficoltà, mostrando la solidarietà e la capacità di prendersi cura l'uno dell'altro. 

La storia, ci dice Bruno Bettheleim, “ammaestra sulle debilitanti conseguenze del tentativo di affrontare i problemi della vita mediante la regressione e il rifiuto, che riducono la capacità dell’individuo di risolvere i problemi”. [vi] “Nulla è cambiato – aggiunge Bettelheim – alla fine di Hänsel e Gretel se non gli atteggiamenti interiori; o più correttamente, tutto è cambiato perché sono cambiati gli atteggiamenti interiori”.[vii]

In effetti il processo di individuazione ha fatto il suo corso e i due bambini hanno acquisito le ricchezze sufficienti per vivere, in quanto hanno riconosciuto il proprio Sé.

Nella fiaba è presente il tema del tradimento, che ritroveremo anche nella fiaba I bambini di Hamelin.

Se proviamo a traslare i significati psicologici in significati sociologici, cambiando il campo, possiamo vedere come la regressione sociale attuale sia in atto in vari modi.

Il tradimento riguarda i poteri politici, che utilizzano la presunta neutralità della scienza, per affermare il potere assoluto della tecnica, in un orizzonte culturale materialista, al quale si oppone una tendenza regressiva di restaurazione del passato, declinato in molti modi. Le grandi città, ad esempio, diventano odiose, la tecnologia, nelle sue estreme punte avanzate dell’intelligenza artificiale, crea paura e rifiuto, gli esperimenti di controllo sociale creano nostalgia di un mondo agreste, facilmente manipolabile in chiave ecologista. Siamo in presenza della riedizione di uno stato d’animo völkisch che si oppone all’ideologia woke. Un’atmosfera possibile da Repubblica di Weimar. Il movimento völkisch (völkische Bewegung) è un'interpretazione tedesca del movimento populista, con un accento romantico sul folklore: un calderone di credenze, paure e speranze che trovavano espressione in vari movimenti. Il termine stesso völkisch è polisemico. C’è un richiamo, in questa nostra epoca di mutamenti fondamentali di paradigma, agli anni del primo Dopoguerra, e a riferimenti letterari, filosofici, psicologici, come Jünger, Spengler, Sombart, Heidegger, Cassirer, Husserl, Jung.

I Fratelli Grimm e il movimento volkisch sono collegati dal concetto di Volksgeist ("spirito del popolo"), che ha influenzato profondamente la loro raccolta di fiabe e la costruzione dell'identità nazionale tedesca. I Grimm, influenzati dal Romanticismo, credevano che le fiabe rappresentassero l'essenza spirituale e culturale del popolo tedesco e cercarono di recuperare e tramandare questa tradizione orale, che vedevano come un tesoro da preservare per le future generazioni. 

In questo attuale rivolgimento, al quale stiamo assistendo dopo anni di zona confort occidentale,  si confrontano le due azioni di Hänsel e Gretel: la regressione e l’integrazione, la rinuncia all’autonomia e l’individuazione.

In chiave sociale, la regressione significa il sognare green, l’ecologismo illusorio, ossia il ritorno ad una presunta casa sicura dove una madre divorante (il potere della tecnica) ti ricondurrà nella foresta, non per salvarti, ma per perderti, per diventare, come Hänsel e Gretel, bocconcini all’ingrasso, ossia gregge, massa.

La via dell’integrazione è quella dell’esame di realtà, della capacità adulta di confrontarsi con il nuovo che avanza, radicandosi nella tradizione, nel recupero della spiritualità, nella capacità di unire corpo, anima e spirito. Nessuna tentazione luddista, nessuna illusoria regressione ad un’arcadia artificiale, ma determinazione nel governare i processi, inserendoli nel lungo percorso tradizionale e spirituale dell’umanità. Una società, quella che ci comunica la fiaba di Hänsel e Gretel, fatta di esseri umani che siano capaci di agire da protagonisti e non da subordinati.

Il tema del tradimento lo ritroviamo nella fiaba I bambini di Hamelin o Il pifferaio magico.

I bambini di Hamelin o Il pifferaio magico

pifferaio

La città era in Germania, e si chiamava Hamelin. Era una di quelle cittadine dove verrebbe voglia di andare a vivere, se non fosse che ognuno di noi ha già la sua città, il suo paese, ai quali è affezionato.

Le vie di Hamelin non erano molto ampie, anzi, erano piuttosto strette. Ma a quei tempi, perché la nostra storia è lontana nel tempo, non c'erano automobili, quindi vi si poteva passeggiare tranquillamente. E le persone, incontrandosi, si salutavano.

"Buongiorno, signora Gertrude. Tutto bene anche quest'oggi?".

"Tutto bene, grazie signora Gudrun. E così spero anche per lei".

Una sorta di paradiso terrestre, dunque, con tanti bambini bene educati che, nelle ore destinate alla ricreazione, ché così si chiamava lo svago, riempivano d'allegria ogni strada. Se qualche mamma, già allora, non li voleva per strada, c'erano tanti giardini per rincorrersi e divertirsi, fuori da ogni pericolo.

Ma un brutto giorno Hamelin subì un'invasione da parte di un esercito di topi. Erano anzi, quei topi, ben più d'un esercito. Erano numerosi come mille eserciti. Te li ritrovavi dappertutto: nel letto, sotto i piatti durante le ore del pranzo e della cena, persino in tasca.

Topi di ogni dimensione e di ogni colore che squittivano, non di rado mordevano e ormai avevano preso l'abitudine di mangiarsi tutto ciò che incontravano.

Prima toccò ai cibi delle dispense, poi alle dispense stesse. Quei topi erano di una voracità incredibile, e non c'era verso di allontanarli, di metterli in fuga. Non avevano paura di niente.

"Ingaggiamo dei gatti", disse allora il sindaco. E la sua idea sembrò a tutti geniale. Ne vennero fatti arrivare da ogni altra città, persino dall'estero.

Tempo due giorni, però, e non solo i gatti non si mangiarono i topi, ma toccò a loro stessi di esser divorati.

"Proviamo con le trappole", ritentò il sindaco, considerato il più intelligente dei cittadini (sennò non lo avrebbero eletto sindaco).

I topi, quando le videro, le usarono per giocarci, facendosi beffe di chi voleva eliminarli.

Il vicesindaco (che come tutti i vice, in qualunque ufficio, aspirava alla carica piena), ebbe questa idea, da cui si aspettava la gratitudine degli elettori: "Mettiamo tante ciotole di latte avvelenato per strada. Non c'è nulla di più potente del veleno per topi".

I topi ridevano sotto i loro baffi imponenti. Sapevano di essere immuni dal veleno, perciò bevvero il latte e diventarono ancora più grossi.

Ma ecco presentarsi al Consiglio comunale, che era riunito in permanenza, come accade in occasione delle più terribili calamità, un ometto curioso, vestito in maniera bizzarra: calzoni a più colori, un gran fiocco per cravatta, e in capo un berrettuccio ornato da una lunghissima piuma. In mano aveva un piffero.

Egli disse a quell'assemblea di saggi: "Io ho il modo di liberarvi dai topi. So come fare...".

La risposta non poteva essere che una: ma è noto che i saggi non si sa mai cosa pensino.

Infine, però, consultatosi con i consiglieri, il sindaco esclamò: "Se farete una cosa del genere, la cittadinanza onoraria di Hamelin sarà vostra".

"Non so che farmene delle cittadinanze onorarie", alzò le spalle il pifferaio.

"E allora chiedete, su...", si mise a trepidare il sindaco.

"Voglio mille fiorini".

Il che era, in moneta d'oggi, l'equivalente di cento milioni di lire.

E il sindaco, a una voce con i consiglieri: "Non mille, ma cinquantamila fiorini vi daremo".

Sempre in moneta d'oggi, facendo un po' i conti, era qualcosa come cinque miliardi.

"Ci sto", concluse il pifferaio. "Domattina l'assedio di topi cesserà". E si ritirò nell'albergo di Hamelin (albergo in parole d'oggi, perché in realtà si trattava d'una deliziosa locanda, con quel qualcosa di magico che gli alberghi di oggi non hanno più), dove trascorse la notte.

Ne uscì, come promesso, l'indomani mattina. Uscì in strada e prese a suonare il suo piffero: una musica dolcissima, strana, misteriosa, veniva dallo strumento. Una musica che, di colpo, incantò tutti i topi, i quali si dettero a seguirla. Il pifferaio suonava, e gli eserciti di topi, a ranghi compatti, tutti dietro a lui. Finché giunsero sulle rive del fiume.

Il pifferaio avanzò di alcuni passi nell'acqua vorticosa e i topi, storditi dalla melodia, scordando di saper nuotare, andarono a fondo nei gorghi e morirono tutti.

Fu accolto come un eroe, lo strambo e magico omino. Lo portarono in trionfo. Lo applaudirono. Gli prepararono una torta a sei piani, tutta di marzapane. Egli, comunque, non la degnò d'uno sguardo. Il sindaco però insisteva, e allora, proprio per fargli piacere ne assaggiò un pezzetto.

L'indomani, si presentò in Consiglio comunale.

"Sono venuto a incassare i cinquantamila fiorini pattuiti".

Il sindaco gli rise in faccia.

"Di che fiorini state parlando, caro il mio signore?".

Il pifferaio non rise affatto. Non era suo costume insistere per ottenere il dovuto.

Ma il sindaco, tronfio e gongolante, continuava a negare quanto aveva promesso di sborsargli.

"Siete stato voi solo, caro mio, a parlare di fiorini. E poi l'idea è stata mia, l'idea di portare i topi ad affogare nel fiume".

Quindi spalancò la porta del balcone del palazzo civico e, rivolgendosi ai suoi concittadini che vi si erano radunati, annunciò con voce imperiosa: "C'è qui uno che pretende dei soldi per avere liberato Hamelin dai topi che l'assediavano. Ma ditemi, amici miei. A chi va il merito dell'impresa?".

"Il merito va al sindaco", rispose la piazza. E all'indirizzo del sindaco, che in Germania, per la verità, si chiama borgomastro, partì un applauso che, non finendo più, si trasformò in ovazione.

Il sindaco gongolava.

"Visto?", redarguì il pifferaio. "Visto chi ha ragione? Io ho ragione. Se proprio insistete, se possono farvi comodo, vi farò dare una ventina di fiorini per il disturbo. Non sia mai detto che il sindaco di questa città è un ingrato, che non è generoso".

Il pifferaio ci rimase male. Guardò il sindaco dritto negli occhi e fece sentire la sua maledizione.

"Piangerete a lungo tutte le vostre lacrime, voi e l'intera città, per questa mancanza di parola".

Ancora il sindaco continuava a ridere mentre il pifferaio, afferrato il suo strumento, intonava una nuova, diversa melodia.

"Bravo! Suonate ancora, seguitate a suonare. Lo sanno tutti che mi piace la musica".

Ma, all'echeggiare delle prime note, accadde una cosa strana, poi curiosa, poi dolorosa. Accadde che tutti i bambini della città uscirono dalle loro case e seguirono il pifferaio che si stava allontanando, e fecero lo stesso i bambini che stavano giocando in strada, nei giardini, nei prati. Tutti allegri, a passo di danza, mentre il pifferaio tirava diritto.

Inutilmente i padri e le madri provarono a richiamare indietro i loro figli. C'era una forza arcana che li spingeva a proseguire, ignari e incuranti della sorte che poteva attenderli.

Camminarono per giorni, arrivarono in posti disabitati, ma non provavano stanchezza, né fame, né sete. Sembrava che solo la musica li interessasse, che essa fosse il loro nutrimento.

Giunsero infine ai piedi di un'altissima montagna dove, ad un tratto, si spalancò un enorme portone che il pifferaio varcò.

I bambini lo seguirono. Quindi i battenti del portone si richiusero, e al di qua del muro ne restò uno solo, che era rimasto un poco indietro perché zoppo.

Aveva sì implorato il pifferaio di aspettarlo, ma quello non gli aveva dato ascolto.

Lo trovarono, piangente di delusione, i padri e le madri dei bambini scomparsi.

"E i tuoi compagni?", gli domandarono angosciati.

"Sono andati di là", rispose il bambino zoppo.

"Di là, dove?".

"Dentro la montagna".

Ai genitori non rimase altro da fare che tornarsene in città, con la morte nel cuore.

Ben presto si seppe che il responsabile di quell'enorme disgrazia era il sindaco. Non solo perse la carica, ma dovette fuggire da Hamelin, altrimenti lo avrebbero impiccato.

Il bambino zoppo rimase a testimoniare che non tutti i mali vengono per nuocere, ma naturalmente ciò valeva solo per lui. Perché invece i bambini scomparsi dovettero pagare le colpe dei padri, cosa orribile e ingiusta.

Per fortuna, secondo Provvidenza, pochi anni dopo nuovi bambini vennero a riportare allegria nella cittadina.

Gli altri rimasero bambini per sempre. Forse diventarono angeli.

La storia ruota attorno al tradimento della fiducia e alla manipolazione. Gli abitanti di Hamelin promettono al pifferaio una ricompensa per liberare la città dai ratti, ma poi non mantengono la parola. Questo tradimento scatena la vendetta del pifferaio, che usa il suo potere per condurre via i bambini.

Il pifferaio, figura inizialmente salvifica, si trasforma in un agente di punizione, mostrando come il risentimento per un torto subito possa portare a reazioni estreme.

Ma è proprio così?

Il pifferaio può essere visto come un'ombra, un archetipo che rappresenta gli aspetti repressi o negati della comunità (l'avarizia, l'ingratitudine). Il tradimento degli abitanti risveglia questa forza oscura, che si manifesta in modo distruttivo. Tuttavia, come evidenzia Marie Louise von Franz, i topi sono anche le “anime-animali” degli esseri umani. In questa accezione del simbolo, il pifferaio è colui che dopo aver annegato l’animalità (le anime umide, quelle dell’humano, dell’humus, umido) nel fiume dell’inconscio, conduce i bambini, anime secche (corpi di luce) verso la montagna (ricordiamo Virgilio che invita Dante a scalare il colle, principio di felicità).

La montagna è il luogo del sacro e del divino: l’Olimpo, il Monte Meru. La montagna, nella tradizione cristiana, è il luogo della rivelazione (sermone) e della trasfigurazione (Tabor), che prefigura la resurrezione.

In questa accezione il pifferaio è soteriologico.

Il pifferaio usa la musica per controllare sia i ratti, sia i bambini, esercitando un fascino ipnotico. Questo suggerisce il potere della suggestione e della manipolazione psicologica.

La musica rappresenta un mezzo di accesso all'inconscio, capace di andare oltre la razionalità. Questo aspetto può essere interpretato come una metafora del carisma o del potere di figure autoritarie che possono guidare le masse, specialmente i più vulnerabili (i bambini, simbolo di innocenza e suggestionabilità), ma anche di richiamo del daimon all’essenza.

La sparizione dei bambini rappresenta una perdita irreparabile per la comunità, che deve confrontarsi con il dolore, il senso di colpa e l'impotenza e può essere letta come una punizione per l'avidità e l'arroganza degli adulti, ma anche come un'allegoria della perdita dell'innocenza. La sparizione dei bambini può essere interpretata come un confronto con la mortalità e l'impermanenza, temi che suscitano angoscia esistenziale nella comunità.

Il pifferaio è una figura ambivalente: salvatore e distruttore, vittima e carnefice. La sua natura enigmatica lo rende una figura archetipica complessa. Può rappresentare il "trickster" (l'ingannatore), un archetipo che sconvolge l'ordine sociale per rivelarne le debolezze. In alternativa, potrebbe essere visto come un simbolo del "divino punitore" o dell'inconscio che reclama giustizia o dell’araldo che richiama alla ricongiunzione con il Sé.

La comunità di Hamelin agisce come un'entità collettiva, decidendo di ingannare il pifferaio. Questo riflette il conformismo e la tendenza a giustificare scelte moralmente discutibili quando prese collettivamente. La fiaba mette in luce come le decisioni di gruppo possano portare a conseguenze catastrofiche quando guidate da avidità o mancanza di responsabilità. La punizione finale sottolinea l'importanza della giustizia e della responsabilità collettiva.

La traslazione dal campo psicologico al campo sociologico ci consegna il tema della manipolazione delle masse e quello del tradimento del potere, ma anche l’illusorietà di una società apparentemente ordinata, una sorta di paradiso terrestre che, però, sottende la hýbris e la menzogna.

Gli adulti sono ormai ottenebrati e complici, così come lo sono le masse occidentali abituate da decenni a vivere in una bolla ideologica autoreferenziale che chiude gli occhi su quanto accade nel resto del mondo.

Un periodo di prosperità ha introdotto la cultura dell’agio e del profitto e ha fatto delle anime umide, i topi, le anime-animali, la sola dimensione degli esseri umani.

L’eternità promessa è quella dell’homo deus, della tecnica transumanista. Il consumismo induce al qui e ora, alla totale contemporaneità, alla sola soddisfazione materiale. Quando questa supera ogni limite si introducono falsi obiettivi (il clima, l’ecologia) e sensi di colpa (l’antropizzazione che distrugge il pianeta). Sorgono falsi filantropi che predicano, come ci è stato detto, la povertà come elemento della felicità. Sarete nullatenenti e così sarete felici (Davos). Il consumismo è diventato divorante. Le anime-animali consumano oltre il dovuto e vanno fermate con il controllo sociale e la manipolazione delle masse. Se non è sufficiente anche con la guerra e con le epidemie.

La logica propagandata è regressiva. Dobbiamo tornare ad una sorta di nuova arcadia. I falsi filantropi accusano l’humanità, le anime-humide, di essere troppo voraci, dopo averle indotte al consumismo e le vogliono ridurre o eliminare. Devono rimanere al mondo solo coloro che governano il finto ordine di Hamelin.

Tuttavia, come sempre accade, i falsi filantropi tradiscono sé stessi a causa della loro hýbris e il pifferaio si trasforma, suona una nuova musica, che non è di condizionamento delle masse, ma di risveglio verso una nuova dimensione essenziale. Gli humani scoprono di essere “esseri”, riscoprono la loro anima secca, si incamminano verso una nuova spiritualità che, come è ben visibile, si declina in vari modi, ma è prorompente. È già accaduto altre volte. Le masse si riconoscono come popolo, ritrovano le proprie radici, scalano la montagna. È quanto sta accadendo sotto i nostri occhi.

La lettura delle due fiabe dei fratelli Grimm da parte di Marco Amico si pone, pertanto, come un’operazione culturale di indubbio valore, capace di suscitare nello spettatore, a livello conscio e inconscio, interrogativi esistenziali fondamentali e oltremodo attuali.

 

[i] Marie Louise von Franza, Le fiabe interpretate, Bollati Boringhieri

[ii] Bruno Bettelheim, Il mondo incantato, Centaura

[iii] Bruno Bettelheim, Il mondo incantato, Centaura

[iv] Bruno Bettelheim, Il mondo incantato, Centaura

[v] Marie Louise von Franza, Le fiabe interpretate, Bollati Boringhieri

[vi] Bruno Bettelheim, Il mondo incantato, Centaura

[vii] Bruno Bettelheim, Il mondo incantato, Centaura

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